Achille e la tartaruga, il paradosso dell’artista "maledetto"

Arriverà a giorni nelle sale italiane Achille e la tartaruga, il terzo film della trilogia che il grande cineasta giapponese Takeshi Kitano ha voluto dedicare al suo rapporto con il cinema e l'arte in generale.

In quest'ultimo atto presentato alla 65ª Mostra del cinema di Venezia Kitano racconta e interpreta la vita di Machisu, partendo dal famoso paradosso di Zenone .
Infatti, così come il velocissimo Achille non riuscirà mai a raggiungere la lentissima tartaruga, il nostro pittore autodidatta Marchisu inseguirà fin da bambino il sogno di diventare un artista affermato senza però mai riuscirci.

Nato da una famiglia benestante ma orfano di madre fin da piccolo, viene mandato a vivere con una coppia di zii che lo maltrattano e lo mettono in un orfanotrofio dalla matrigna (Mariko Tsutsuii) quando anche il padre muore, suicida, dopo il fallimento della propria azienda.
Da adolescente, Machisu studia presso una scuola d'arte e trova il proprio stile di pittura sfidato dai lavori più sperimentali e concettuali dei compagni di studio. Tuttavia, Machisu riesce a stringere amicizia con un'altra studentessa, Sachiko (Kumiko Aso), che è un "partner che capisce". I due si sposano e nasce loro una figlia.
Con il tempo, l'ossessione di Machisu di raggiungere gli standard dell'arte contemporanea aumenta sempre di più sino a sopraffarlo e annullare la sua esistenza, lasciandolo insensibile a tutto quanto avviene attorno, inclusa la morte della figlia e l'essere lasciato dalla moglie. Mentre le persone che lo circondano muoiono e se ne vanno, Machisu prova come meglio può a tenere il passo con le attese degli esperti d'arte, rimanendo senza un soldo e divenendo sempre più patetico.
Tocca il fondo quando rimane coinvolto in un incendio divampato mentre era intento a dipingere, e ne rimane quasi ucciso. Sopravvissuto al fuoco, di tutte le sue opere precedenti perse rimane solamente con una lattina mezza bruciata, che valuta 200.000 yen e prova a vendere, ma che finisce per essere presa a calci quando la moglie lo prende dalla strada.
Machisu va via insieme a lei, sbarazzatosi, forse, dell'infinita caccia all'arte.

Achille e la tartaruga è un racconto crudele dell'arte, come spiega l'autore, una parabola dell'artista "maledetto". Per il protagonista, che è interpretato dallo stesso Kitano nella terza parte del film, la pittura è una dipendenza e come tale può prescindere dalla fama e dalla credibilità. Inoltre, grazie a questa passione, Machisu riesce ad affrontare le situazioni dolorose che la vita gli pone – la morte del padre e della matrigna, la perdita di ogni ricchezza, l'accoglienza gelida e anaffettiva dello zio – con lo sguardo distaccato, come se gli eventi fossero semplicemente qualcosa da rappresentare su tela. È, ancora, la pittura che lo porta in età adulta a trovare la donna che gli rimane al fianco nonostante le "bocciature" e che alimenta la sua creatività dandogli piena fiducia. Passando dalle vicende drammatiche a momenti di ilare leggerezza, come se fossero spennellate di colore su una tela scura, il regista di Tokyo trova nella storia lineare di un pittore fallito (come artista ma non come uomo), il modo di far raggiungere la tartaruga da Achille.

Achille e la tartaruga chiude dunque la trilogia che Kitano iniziò nel 2005 con Takeshis' e proseguita con Glory To the Filmmaker!, presentato alla Mostra del cinema di Venezia lo scorso anno tentando di dare il giusto peso al successo perché se nel primo capitolo il regista nipponico aveva rappresentato il conflitto tra il sé privato e quello pubblico, e nel secondo si era interrogato su quale genere cinematografico intraprendere al fine di ottenere credito, in questo terzo e conclusivo episodio smette di vedere il successo come qualcosa da agognare e perseguire.
Attraverso la figura di Machisu, un pittore che sacrifica il talento naturale per cercare di compiacere il critico (e dunque il pubblico) finendo per perdere la freschezza e l'estro.

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