Atlete vittime di uno sport maschilista

Chi dice donna dice danno anche nello sport.

Il gravissimo infortunio che nel weekend ha costretto Nadia Fanchini al ritiro dalle gare a meno di 15 giorni dall’inizio delle olimpiadi di Vancouver e valigie praticamente già fatte è choccante ma non stupisce gli esperti.

Il suo sarebbe infatti solo l’ultimo di una serie di incidenti sportivi occorsi alle donne talmente lunga da superare quella dei colleghi maschi.
In altri termini le atlete sembrano andare incontro, rispetto ai maschi, a molti più traumi, in particolar modo quelli che interessano l’apparato muscolo scheletrico come quello di Nadia.

Il sesso debole però in questo caso non centra nulla.
Secondo uno studio condotto dalla fisiologa Vicki Harber dell’Univesità di Alberta (Canada) e pubblicato sulla rivista del movimento Canadian Sport for Life, le ragazze vanno incontro a più traumi rispetto ai maschi, in parte a causa di programmi di allenamento che non tengono conto delle differenze biologiche tra i sessi tanto che, a seconda dello sport praticato il tasso di infortuni delle donne è dalle due alle sei volte più alto di quello dei loro colleghi.

Nella sua revisione sistematica di tutti gli studi fatti in proposito la Harber identifica proprio negli allenamenti una delle cause principali perché questi sono quasi sempre pensati e messi a punto per atleti maschi e poi adattati per le ragazze senza però fare attenzione alle differenze biologiche tra i due sessi, mentre “Bisognerebbe invece, prendere in considerazione per esempio l’influenza degli ormoni sul controllo neuromuscolare, la maggiore lassità dei legamenti femminili e altri fattori anatomici e biomeccanici.
Gli sport dove il distacco tra infortuni maschili è femminili è più alto sono la corsa campestre, le sei discipline della ginnastica e il calcio. E, guarda caso, proprio le ragazze che praticano quest’ultimo sport ritenuto prettamente maschile benché ormai ci siano molte praticanti donne sono quelle che rispetto ai colleghi maschi riportano un maggior numero di problemi alle ginocchia, seguite da quelle che giocano a pallacanestro, hockey su prato, softball e pallavolo.
Dallo stesso studio sarebbe emerso inoltre che per le atlete sono più alti sono anche i rischi di recidive. La lunga serie di gravi infortuni che hanno colpito la nostra atleta di punta della spedizione olimpica come ci ha ricordato Massimo Brignolo nel blog Olimpiadi, potrebbero non essere insomma il frutto di un accanimento del destino ma di un errore di fondo dello sport che, nonostante i risultati e le vittorie ottenute sul campo dalle ragazze, continua a pensare sempre e solo al maschile.

Il condizionale ovviamente è d’obbligo, ma dovrebbe almeno far pensare o indurre i nostri tecnici a fare uno studio analogo limitato al territorio italiano per verificare se anche da noi “l’infortunio è donna”.

Intanto visti i risultati di questo loro studio i ricercatori canadesi mettono in guardia gli allenatori anche da un altro pericolo che per quanto noto da tempo potrebbe essere sfuggito agli allenatori potendo riguardare solo le atlete. “Uno dei rischi a cui tecnici e allenatori delle ragazze devono comunque prestare più attenzione è quello della cosiddetta triade“, ha raccomandato, infatti,  la Harber, “Si tratta di tre condizioni separate ma interconnesse – disturbi alimentari, amenorrea e osteoporosi – che prese singolarmente sono serie però curabili, mentre insieme possono risultare letali e non solo per la carriera“.

Spiegare il legame che esiste tra sana alimentazione, salute riproduttiva e delle ossa, ricordando  l’importanza che questi tre aspetti hanno non solo per il benessere ma anche per il successo sportivo e realizzare regimi di allenamento adeguati sono, secondo la ricercatrice, le attenzioni minime necessarie per salvaguardare la salute delle giovani atlete a tutti i livelli sia agonistici che amatoriali.

Fonte: Canadian Sport For Life

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