Campioni del Mondo! Commento tecnico alla tabella

Approfondiamo e commentiamo insieme il programma di allenamento esposto nel post di ieri.

Inizialmente è necessario aumentare progressivamente la quantità di lavoro (ad esempio numero delle sedute settimanali, chilometri percorsi, serie di esercizi effettuate ecc.).
Notate che l’intensità degli allenamenti non è costante, ma viene modulata nel tempo: è stato visto che questa modalità di lavoro consente di avere notevoli risultati risparmiando l’atleta e lasciandolo più fresco. Questo suggerisce che, di solito, si ha la tendenza a sovradosare il lavoro (allenarsi troppo), pensando che finché l’atleta tiene, gli fa bene; e se “salta”, non era portato…

Seconda osservazione: inizialmente si fa solo lavoro atletico, senza palla e magari anche senza vedere il campo da calcio. È molto opportuno, dopo un lungo campionato, creare diversificazione e nuovo interesse negli atleti. Le novità risultano sempre più allenanti e divertenti.

In fase IV si comincia ad andare in campo e usare il pallone. Compaiono anche le sedute di potenziamento. Non è questa la sede per approfondire il discorso, ma gli atleti devono usare i pesi in maniera del tutto differente rispetto ai bodybuilder o a chi si allena per lo sviluppo muscolare.
Un errore che si compie spesso nell’utilizzo dei sovraccarichi è programmare sedute troppo ravvicinate, o con troppi esercizi: i pesi richiedono un recupero molto lungo, più lungo di altre forme di allenamento (ne abbiamo parlato qui); vedo continuamente atleti affaticati da sedute coi pesi troppo intense o ravvicinate. Se si desidera un reale incremento di forza non è sbagliato fare non più di una seduta ogni cinque giorni, anche perché negli altri giorni l’atleta si allena comunque, sebbene con altre tecniche. Se la frequenza è più alta, aiuta moltissimo modulare anche l’intensità delle sedute coi pesi, ad esempio alternandone una al 100% con una all’80%.

In fase IV l’allenamento tecnico si fa al mattino, in condizioni di maggior freschezza.

Fase V coincide con la ricerca del primo importante salto prestativo: aumenta la qualità, cioè l’intensità del lavoro. Naturalmente, per far questo è inizialmente necessario diminuirne la quantità (detta anche volume): in questo modo il carico interno rimane costante (fatte salve le modulazioni).
In questa fase gli atleti cominciano ad abituarsi a stimoli più intensi, più vicini a quelli di gara, e sollecitano le fisiologie a prestazioni di picco.
Il lavoro tecnico viene spostato al pomeriggio: gli atleti toccano il pallone senza aver ancora smaltito completamente la fatica per l’allenamento, intenso, del mattino.

Fase VI vede il graduale recupero delle quantità di lavoro iniziali. Ad esempio, se prima l’atleta correva 15 volte i 100 metri all’80% del proprio tempo massimo, ed era passato a farne 10 al 90%, gradualmente torna – tendenzialmente – alle 15.

Fase VII è quella più faticosa, nella quale si gettano le basi per il rendimento futuro: molta quantità con un’intensità alta. Quanto è possibile spingersi ora dipende dal lavoro svolto, e da come gli atleti hanno risposto.
Qui è bene coccolare gli atleti, curandone il benessere, il rilassamento ed il divertimento.

Come abbiamo sottolineato, l’astinenza sessuale può essere considerata una solenne sciocchezza. È chiaro che far l’amore ogni notte per tutta la notte non aiuta, ma vivere una vita intensa e completa è molto più stimolante che stare nei vecchi ritiri degli anni ’80… È bello per gli atleti che lo desiderano poter vedere la propria famiglia, o comunque stare vicini alle loro compagne/compagni.

Fase VIII coincide col periodo preagonistico: gli atleti devono riposare, allenarsi di meno per cominciare una fase supercompensativa importante ed arrivare freschi alle gare. La qualità del lavoro sale ancora rispetto alle fasi precedenti, ma non proporzionalmente alla diminuzione della quantità. Per capirci, si passa da 12 volte i 100 m al 90% a 7-8 al 95%.

Come si vede, la mattina della gara (ipotizzata nel pomeriggio) si fa un breve richiamo di forza veloce (ad esempio 2-3 volte strappo e slancio col bilanciere, 92% del massimale; oppure tratti di 60 m di corsa balzata) e velocità (ad esempio 2-4 volte i 50 metri al 95-98% con 15′ di recupero attivo tra le prove). Gli atleti devono fermarsi prima di avvertire stanchezza.

Naturalmente, le prime gare non vengono affrontate in condizioni di massima freschezza, peché gli atleti non hanno ancora smaltito il lavoro intenso delle settimane precedenti. Tuttavia, arrivare in piena forma alle prime partite è rischioso, perché si rischia di perdere la forma nelle ultime. Questo pericolo sarebbe scongiurato se tra la prima e la seconda fase del campionato ci fossero, ad esempio, due-tre settimane di pausa: allora avrebbe senso riproporre un picco di quantità seguito da un picco di qualità e poi da una riduzione drastica del lavoro: in altre parole, un miniciclo simile a quello già svolto.

In effetti, durante le gare (che si svolgono circa ogni 4 giorni) non è possibile allenarsi molto: più gli atleti riposano, meglio è. Il rischio, se la programmazione non è stata fatta bene, è che con poco lavoro la forma scenda – nelle settimane subito successive – in maniera irrimediabile. Tuttavia, il rischio di un lavoro in alti volumi è quello di arrivare alle ultime gare con una squadra stressata, affaticata, che non corre più: rischio che, ai Mondiali di calcio, si è visto correre spesso.

Come si vede, durante il periodo agonistico ci si allena poco: un solo vero allenamento, e non al massimo, perché agli allenamenti si somma la fatica delle partite. Il secondo allenamento, dato indicativamente al 40%, sfrutta l’aumento del carico interno dovuto alla fatica per dare agli atleti uno stimolo allenante senza stressarli.

Morale della favola: la perfezione di una programmazione si raggiunge quando si riesce a conciliare tutti i vantaggi di un allenamento intenso (miglioramento delle prestazioni) con i vantaggi del non allenarsi (miglioramento delle prestazioni) senza subirne gli svantaggi (rispettivamente sovraffaticamento e perdita di condizione). Una sfida non da poco per un preparatore atletico, soprattutto considerando che ogni atleta ha una storia sua e risponde agli stimoli ed alle modulazioni con tempi e modalità del tutto proprie.

Image courtesy gazzetta.it

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