Caravaggio dipingeva alla luce delle lucciole

Irascibile, folle, sempre sopra le righe, ma decisamente geniale. Eccolo qui il Caravaggio che non ti aspetti, capace di stupire ancora, a distanza di secoli.

Secondo Roberta Lapucci, capodipartimento del settore conservazione dell’Università americana Saci di Firenze, il mago del pennello aveva trasformato il suo studio in una gigantesca camera ottica per sfruttare le potenzialità della luce. Nell’illustrare i particolari della sua scoperta sul mensile “Stile arte”, Lapucci racconta che allo scopo, Michelangelo Merisi da Caravaggio aveva fatto realizzare un buco nel soffitto da dove poteva filtrare la luce che, con l’aiuto di una lente biconvessa e uno specchio concavo rifletteva direttamente sulla tela l’immagine del soggetto da dipingere. Solo che mutando la luminosità e i modelli, il maestro era costretto a cambiare anche le proiezioni.

L’aspetto più affascinante della nuova scoperta è però che, appunto per ovviare e riuscire a lavorare anche al buio, pare avesse messo a punto una polvere contenente coleotteri luminosi distillati e seccati – già nota a Giovan Battista della Porta, quando nel 1558 scrisse il suo Naturalis Magiae – che utilizzava per i suoi dipinti. Secondo la studiosa, analizzando i suoi quadri, si riscontra la presenza di argento, arsenico, magnesio, zolfo, iodio, materiali fotosensibili che aumentavano la luminosità del dipinto, miglioravano la profondità spaziale e appunto consentivano al Caravaggio di lavorare anche al buio. In pratica, dava inizio all’opera partendo da una composizione tracciata nelle sue linee essenziali, usando biacca e distillato di lucciole, che producevano un effetto fluorescente, una riproduzione ferma e monocroma simile a una fotografia, che evitava gli incresciosi inconvenienti dovuti al movimento della proiezione.

Solo Caravaggio avrebbe potuto inventarsi la “polvere di lucciole” per dipingere!

Ora scusate, ma corro a prendere Stile e Arte per non perdere nemmeno un dettaglio.

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