Chi vuol essere spontaneo?

«In realtà non c’è nulla di più accattivante e convincente della spontaneità, sia che la si trovi nel bambino, o nell’artista sia che la si trovi in quegli individui che non rientrano per età o professione in questi due gruppi.»
Erich Fromm, psicoanalista e sociologo tedesco  

Non ci sono privilegiati della spontaneità. È un frutto che possiamo cogliere e donare tutti. Tuttavia, per Fromm che aveva la capacità di racchiudere un mondo di pensieri e significati in poche e semplici righe, la spontaneità era molto più di quello che sembra suggerire la frase citata. Era una possibile via di liberazione.

«Può esistere la libertà in un mondo di maschere e di automi in cui l’avere schiaccia l’essere e la menzogna è la regola dei rapporti umani?»

In “Fuga dalla libertà“, uno dei grandi libri del Novecento, Erich Fromm prova a spiegarci perché è nella spontaneità dei sentimenti e dell’agire che dobbiamo cercare la possibile via di salvezza dalle costrizioni che ci affliggono. Di più: «è la risposta al problema della libertà».

Vediamo come.

COS’È LA SPONTANEITÀ
«L’attività spontanea non è l’attività coatta, alla quale l’individuo è spinto dall’isolamento e dall’impotenza; non è l’attività dell’automa, che è assimilazione acritica di modelli suggeriti dall’esterno. L’attività spontanea è libera attività dell’io e implica, psicologicamente, quello che la radice latina della parola, sponte, significata letteralmente: di propria libera volontà. Per attività non intendiamo il «far qualcosa», bensì quell’attività creativa che può operare nelle proprie esperienze emotive, intellettuali e sensuali, e anche nella propria stessa volontà. Un presupposto di questa spontaneità è l’accettazione della personalità totale, e l’eliminazione della spaccatura tra «ragione» e «natura»; infatti, solamente se l’uomo non reprime parti essenziali del proprio essere, solo se è diventato trasparente a sé stesso, e solo se le diverse sfere della vita hanno raggiunto una fondamentale integrazione, l’attività spontanea è possibile.»

CHI PUÒ ESSERE SPONTANEO?
«Benché la spontaneità sia un fenomeno relativamente raro nella nostra civiltà, non è che ne siamo completamente privi. Per aiutare a comprendere questo punto, vorrei ricordare al lettore alcuni casi in cui tutti vediamo un barlume: di spontaneità.

In primo luogo, conosciamo individui che sono – o sono stati – spontanei, i cui pensieri, sentimenti e atti sono l’espressione di loro stessi e non di un automa. Questi individui ci sono familiari per lo più come artisti. Infatti l’artista può essere definito un individuo in grado di esprimersi spontaneamente Se questa è la definizione dell’artista – Balzac lo definiva proprio in questo modo – allora certi filosofi e scienziati devono anch’essi venir chiamati artisti, mentre altri che passano per tali sono tanto lontani dall’artista quanto un vecchio fotografo può esserlo da un pittore creativo. Ci sono poi altri individui i quali, pur non avendo la capacità – o forse semplicemente la preparazione – per esprimersi in un mezzo oggettivo come fa l’artista, possiedono la stessa spontaneità. Ma la posizione dell’artista è vulnerabile, poiché in realtà si rispetta l’individualità e la spontaneità del solo artista riuscito; se non riesce a vendere la sua arte, egli resta per i suoi contemporanei un eccentrico, un nevrotico. In questo senso l’artista sta in una posizione simile a quella che ha sempre contraddistinto il rivoluzionario. Il rivoluzionario vittorioso è uno statista, mentre il rivoluzionario fallito è un criminale.

I bambini piccoli offrono un altro esempio di spontaneità. Hanno la capacità di sentire e pensare ciò che è veramente loro; questa spontaneità si manifesta in quello che dicono e pensano, nei sentimenti che i loro visi esprimono. Se ci si chiede perché i bambini piacciono alla maggior parte delle persone, credo che la risposta, a prescindere dalle ragioni sentimentali e convenzionali, vada cercata proprio in questo carattere della spontaneità. Essa attira profondamente chiunque non sia talmente arido da aver perduto la capacità di percepirla. In realtà non c’è nulla di più accattivante e convincente della spontaneità, sia che la si trovi nel bambino, o nell’artista, sia che la si trovi in quegli individui che non rientrano per età o professione in questi due gruppi.

La maggior parte di noi è in grado di notare per lo meno dei momenti della propria spontaneità, che sono nello stesso tempo momenti di autentica felicità. Si tratti della fresca e immediata percezione di un paesaggio, o del sorgere di una verità come risultato della nostra riflessione, o di un piacere dei sensi che non sia stereotipato, o dell’insorgere dell’amore per un’altra persona: in questi momenti sappiamo tutti che cosa sia un atto spontaneo, e tutti possiamo intuire che cosa potrebbe essere la vita umana se queste esperienze non fossero così rare e casuali.»

SPONTANEI PER ESSERE LIBERI
«Perché l’attività spontanea è la risposta al problema della libertà? Abbiamo detto che la libertà negativa di per sé fa dell’individuo un essere isolato, il cui rapporto con il mondo è remoto e sospettoso, e il cui io è debole e continuamente minacciato. La attività spontanea è il solo modo in cui l’uomo può superare il terrore della solitudine senza sacrificare l’integrità del suo essere; infatti nella realizzazione spontanea dell’io l’uomo si riunisce al mondo: all’uomo, alla natura e a sé stesso. L’amore è la principale componente di tale spontaneità, non l’amore come dissoluzione dell’io in un’altra persona, non l’amore come possesso di un’altra persona, ma l’amore come affermazione spontanea degli altri, come unione dell’individuo con gli altri sulla base della conservazione dell’io individuale. Il carattere dinamico dell’amore sta proprio in questa polarità: esso sorge dal bisogno di superare la separazione, porta all’unità, e tuttavia l’individualità non viene eliminata. Il lavoro è l’altra componente: non il lavoro come attività ossessiva per sfuggire la solitudine, non il lavoro come rapporto con la natura che in parte è dominio su di essa e in parte adorazione e sottomissione agli stessi prodotti delle mani dell’uomo, ma il lavoro come creazione, in cui l’uomo diventa uno con la natura nell’atto della creazione.
(…)

In ogni attività spontanea l’individuo abbraccia il mondo. Non solo la sua essenza individuale resta intatta, ma si rafforza e si consolida. Infatti l’io è tanto forte quanto è attivo. Non c’è vera forza nel possesso in sè, sia esso di beni materiali, oppure di qualità spirituali, come i sentimenti o i pensieri. Non c’è forza nemmeno nell’uso e nella manipolazione degli oggetti; ciò che usiamo non è nostro semplicemente perché lo usiamo. Nostro è solo ciò a cui siamo veramente legati dalla nostra attività creativa, si tratti di una persona ovvero di un oggetto inanimato. Solo le qualità che sorgono dalla nostra attività spontanea danno forza all’io e formano pertanto la base della sua integrità. L’incapacità di agire spontaneamente, di esprimere quel che veramente si sente e si pensa, e la conseguente necessità di presentare uno pseudo-io agli altri e perfino a sé stessi, sono la radice del sentimento di inferiorità e di debolezza. Che ne siamo o no coscienti, non c’è nulla di cui ci vergogniamo di più del fatto di non essere noi stessi, e nulla che ci dia più orgoglio o felicità del pensare, sentire e dire quello che davvero è nostro.

Ciò implica che quello che importa è l’attività in quanto tale, il processo e non il risultato. Nella nostra civiltà l’accento batte proprio sulla cosa opposta. Produciamo non per una soddisfazione concreta, ma per il fine astratto di vendere la nostra merce; riteniamo di poter acquistare ogni bene materiale o immateriale comprandolo , e così le cose diventano nostre senza alcuno sforzo creativo nostro nei loro confronti. Analogamente consideriamo le nostre qualità personali e il risultato dei nostri sforzi come merci che possono essere vendute in cambio di denaro, prestigio e potere. Così l’accento si sposta dall’immediata soddisfazione dell’attività creativa al valore del prodotto finito. In questo modo l’uomo perde la sola soddisfazione che può dargli vera felicità – l’esperienza dell’attività del momento presente – e rincorre un fantasma che lo lascia deluso non appena crede di averlo afferrato: quell’illusoria felicità che si chiama il successo.

Se l’individuo realizza sé stesso mediante l’attività spontanea, e in questo modo si mette in rapporto con il mondo, allora cessa di essere un atomo isolato; sia lui che il mondo diventano parti di un tutto organico; egli occupa il suo giusto posto, e così i dubbi su se stesso e sul significato della vita si dileguano. Questi dubbi scaturivano dal suo isolamento e dal soffocamento della vita; quando egli riesce a vivere non in modo coatto, né da automa, ma spontaneamente, essi scompaiono. Ha coscienza di sé come di un individuo attivo e creativo, e riconosce che c’è un solo significato della vita: l’atto stesso di vivere.
Se l’individuo supera il dubbio fondamentale su se stesso e sul suo posto nella vita, se si riunisce al mondo abbracciandolo nell’atto del vivere spontaneamente, acquista forza come individuo e acquista anche sicurezza. Questa sicurezza, però, è diversa dalla sicurezza che caratterizza la fase preindividuale, allo stesso modo che il nuovo rapporto con il mondo è diverso da quello che caratterizzava i legami primari. La nuova sicurezza non è radicata nella protezione che l’individuo riceve da un potere esterno superiore; e nemmeno è una sicurezza in cui sia eliminato il carattere tragico della vita. La nuova sicurezza è dinamica; non è fondata sulla protezione, ma sull’attività spontanea dell’uomo. È la sicurezza che si acquista ogni singolo momento per mezzo dell’attività spontanea. È la sicurezza che solo la libertà può dare, e che non ha bisogno di illusioni perché ha eliminato le condizioni che rendono necessarie le illusioni.»

Nota: i brani tra virgolette sono tratti da: Erich Fromm, Fuga dalla libertà, Mondadori 1987, pp 203-206)

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