Dall’infanzia e ritorno

La morte o la sofferenza di un bambino sono qualcosa che la coscienza non può accettare e suscitano più orrore di quel che accadrebbe se a soffrire nello stesso identico modo fosse un adulto. Ma guerre e tsunami non guardano in faccia nessuno e per ogni bambino colpito c’è sicuramente anche un adulto che lo è. L’arteterapia sembra studiata da adulti per aiutare i bambini, ma agli adulti chi ci pensa? E poi, siamo sicuri che sia proprio così?
Edith Kramer citata da Luigino Bardini nel commento al post “Attacchi d’arte per sopravvivere allo Tsunami ” è una vera figura ispiratrice per tutti gli arte-terapeuti quindi sono andata ad approfondire un po’ la questione del suo libro e ho scoperto che “Arte come terapia nell’infanzia” (New York 1971, Firenze 1977) è ancora in vendita presso la libreria universitaria Editrice Garigliano srl. Altrimenti come giustamente diceva Luigino si riesce a trovarlo nelle biblioteche, anche di provincia. Tuttavia facendo un po’ il punto sui pionieri dell’arte-terapia che abbiamo citato, mi sono accorta che mancava un aspetto importante. L’adulto. Ma facciamo un passo indietro. Kramer, pur essendo nata a Vienna, non esitò a trasferirsi a Praga per seguire Friedl Dicker-Brandeis, l’altra figura pioneristica dell’arte-terapia, di cui divenne allieva per rimanervi anche dopo che questa fu internata. Friedl Dicker-Brandeis infatti oltre che artista molto dotata nonostante l’opposizione paterna, fu molto coraggiosa. Decise di restare coi bambini profughi e continuare il suo lavoro perfino all’interno del campo. Edith Kramer ricorda così l’esperienza: “Quando ero a Praga tenevo dei corsi a bambini rifugiati tedeschi con Friedl Dicker. Il suo atteggiamento e le modalità di trattamento mi influenzarono molto ed ebbi l’occasione di imparare molto da lei…Quando Friedl fu internata nel campo di Terezín con la popolazione del ghetto, ha continuato a lavorare e a insegnare ai bambini e questi lavori si sono salvati. Quando vidi, nel dopoguerra, questi lavori salvati miracolosamente, fui impressionata dallo stato di salute dei bambini che vivevano in condizioni così dure. Questi bambini malgrado la situazione avevano avuto una buona infanzia che permetteva loro di fare arte”.
Nell’editoriale di Art-therapy, Lynn Kapitan cita però anche un’altra figura ispiratrice per tutti gli arte terapeuti la quale ha avuto un’esperienza simile a quella di Friedl Dicker-Brandeis. Si tratta di Frederick Franck (1910-2006) che riuscì a sopravvivere agli orrori della prima guerra mondiale proprio grazie al disegno. La cosa stupefacente è che all’epoca Franck era “solo” un bambino. Certamente un bambino molto dotato artisticamente e molto intelligente, ma ha scoperto da sé, sulla sua pelle ciò che nessun adulto aveva ancora formulato in una teoria.
Questo mi fa pensare che Friedl Dicker in quel campo di concentramento doveva essere al tempo stesso terapeuta e paziente, entrambe tenute in vita nonostante tutto grazie all’arte. I bambini di Terezin sono stati “fortunati” ad incontrarla (il virgolettato è d’obbligo dato il contesto storico), lo dimostrano le loro testimonianze raccolte da Elena Makarova a cui va per altro il merito di aver portato in giro per il mondo le opere fatte dai bambini di Terezin. Ogni bambino in condizioni di sofferenza dovrebbe poter contare su un adulto che sia una base sicura su cui appoggiarsi. Nelle grandi catastrofi collettive il dramma nel dramma è che gli adulti sono essi stessi traumatizzati a loro volta bisognosi di un senso di sicurezza necessario a rielaborare il trauma e lo dice espressamente anche Rebekah L. Chilcote, nel suo articolo sui bambini sopravvissuti allo Tsunami. È un po’ come ne “La vita è bella” di Benigni: gli adulti lo guardavano esterrefatti quando raccontava tutte quelle storie a suo figlio, ma in fondo anche loro avevano bisogno di crederci. Anche gli adulti sentivano quanto fosse potente la spinta rigeneratrice dell’immaginazione. Ecco qual è il senso della presenza di un arte terapeuta in una missione umanitaria. Questo però non deve far dimenticare che anche a un bambino singolo che sta male può mancare il senso di sicurezza perché intorno non ha adulti in grado di dargliene e che a loro volta hanno bisogno di aiuto. Non abbiamo bisogno di andare troppo lontano per trovare in piccolo qualche grande dramma collettivo.
Per concludere vorrei citarvi due frasi di Kramer che mi sembrano particolarmente significative. “…Anche se non è in grado di eliminare la causa della tensione o di contribuire direttamente alla soluzione del conflitto, l’arte serve come modello del funzionamento dell’Io: diventa una zona franca in cui è possibile esprimere e saggiare nuovi atteggiamenti e risposte emotive, anche prima che queste modificazioni abbiano luogo a livello di vita quotidiana.
… L’arte adempie per il bambino disturbato la stessa funzione che ha per tutti gli uomini: creare una zona di vita simbolica che permette la sperimentazione di idee e sentimenti, portare alla luce le complessità e le contraddizioni della vita, dimostrare la capacità dell’uomo di trascendere il conflitto e di creare ordine dal caos, e infine di dare piacere.”

Fonti: Mobilizing compassion to counteract denial and despair
Art therapy with child Tsunami survivors in Sri Lanka

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