Dio non ci ha fatto calciatori

«Se il Padreterno avesse immaginato che la sua creatura
si sarebbe dovuta cimentare tanto
in una attività sportiva come il calcio,
ci avrebbe creato in modo diverso.»
Antonio Dal Monte,
direttore scientifico
dell'Istituto di Scienza dello sport del CONI

La frase che ho scelto oggi per la rubrica domenicale Sportivamente, pensieri e parole sullo sport è dedicata a tutti quelli che amano dire è/sono "nato per giocare a calcio".
Secondo quanto dichiarato dal professor Antonio Dal Monte in un intervista del trimestrale dell'Enpam, il Giornale della previdenza, questo non è infatti assolutamente possibile, o almeno non dal punto di vista fisiologico.  

Il calcio "è uno sport per il quale la struttura corporea umana non è tagliata – spiega Dal Monte – e questo dipende dalla struttura corporea dell'uomo, che è fatta per movimenti longitudinali e non trasversali che comportano un iperuso dei muscoli adduttori e abduttori, cioè quelli che avvicinano o allontanano trasversalmente gli arti dal corpo."

"Men che mai – aggiunge – le ginocchia e le caviglie sono state create per ricevere colpi, fatto, questo, che molto spesso si verifica nel calcio con una conseguente alta percentuale di danni. Basta esaminare le ginocchia di alcuni calciatori che da un punto di vista funzionale, e gli esami strumentali lo dimostrano, risultano ginocchia di vecchi."
L'importanza dei traumi nell'invecchiamento articolare precoce a cui vanno incontro i calciatori è messa in evidenza anche per confronto con un altro sport che almeno in apparenza dovrebbe essere ben più logorante per gli atleti come il ciclismo. "Le ginocchia dei ciclisti – dice il professore – rimangono intatte anche se pedalano per un numero impressionante di chilometri perché in genere non subiscono traumi nel corso della loro carriera."

Nemmeno allenamento e riscaldamento su cui insistono molto i preparatori atletici per salvaguardare le strutture muscolo-scheletriche dei loro assistiti possono fare più di tanto per Dal Monte. "L'allenamento può migliorare la resistenza ai colpi, ma questi fanno comunque male – dice – può potenziare il corpo a questi movimenti trasversali anche se, come dicevo, non si possono escludere danni agli adduttori e problemi muscolo-tendinei-ossei che, infatti, sono abbastanza frequenti pure nei calciatori di livello professionistico e quindi, presumibilmente, ben allenati."

In buona sostanza la macchina-uomo non gradisce tutto quello che si verifica durante la partita: "il corpo umano – ribadisce Del Monte – adora i movimenti per i quali è stato programmato e che può prevedere. Una persona che dà un calcio da fermo ne prevede infatti il movimento, ma nel caso in cui gli venga sottratto il pallone, proprio mentre lo sta calciando, si ritrova costretta a frenare di colpo il movimento del ginocchio, altrimenti l'articolazione rischierebbe di girarsi dall'altra parte, e anche così i muscoli-freni intervengono solo all'ultimo momento con il conseguente rischio di rompersi. È quindi uno spaventoso stress biomeccanico a tutto il sistema muscolo tendineo che mette in crisi la struttura dell'arto inferiore."

E quindi? Dovremmo dissuadere i giocatori dal continuare a giocare o i genitori dall'avviare i loro figli alla pratica del calcio?
Ovviamente no! "Questo per i giovanissimi è uno sport particolarmente divertente. È quindi evidente che non si può dire ai ragazzi di non giocare a calcio. E poi non so dire se sia più giusto fargli fare uno sport che fa certamente molto bene ma non è di loro gradimento. Non ci si può però nemmeno nascondere dietro ad un dito e affermare che il calcio sia lo sport più benefico del mondo per la struttura del corpo, perché non è vero. Resta il fatto che il calcio potrebbe lasciare il segno del proprio passaggio, anche se gli incidenti a cui si può andare incontro riguardano un numero ristretto di persone e comunque si verificano più nei soggetti che svolgono attività professionale. A livello di ragazzini che fanno parte di una squadra, che svolge alcuni allenamenti e che gioca nel fine settimana, va detto anche che spesso non sono affatto allenati perché l'allenamento in sé è il gioco stesso senza una preparazione atletica vera e propria. Per esempio un campione che non si è mai allenato, tranne quando stava con me per la preparazione ai mondiali, fu Maradona. Prepararsi solo quando il campionato ha inizio è un grossolano errore perché, partendo non allenati, possono andare più facilmente incontro a guai muscolo-tendinei."

Per il resto, ricorda il medico, "è, comunque, sempre meglio giocare a calcio che stare fermi: per il nostro corpo il peggior nemico è la malattia ipocinetica, vale a dire l'atteggiamento di molti adolescenti che passano dal sedile dell'automobile alla sedia di scuola o si casa davanti ai videogiochi. Ragazzi che non avranno l'efficienza sufficiente a sostenere quanto la vita di relazione richiede e accuseranno, ad esempio, il fiatone per un piano di scale o per ogni minimo sforzo." E che il movimento sia necessario e che l'intero organismo debba essere sottoposto ad un determinato carico di lavoro lo dimostrano i problemi a cui vanno incontro gli astronauti, obbligati a stare tanto tempo in ambienti ristretti dove non ci può muovere molto e per di più in assenza di gravità." Ma di questo parleremo in un altro post, sempre grazie al professor Dal Monte che è anche specialista in Medicina aeronautica e spaziale.

Antonio Dal Monte ha conseguito la docenza in Fisiologia umana ed in Medicina dello sport. E' specialista in Pneumologia, Medicina del lavoro e Medicina aeronautica e spaziale. Già direttore scientifico dell'Istituto di Scienza dello sport del Comitato olimpico italiano e capo del Dipartimento di fisiologia e biomeccanica dello stesso istituto, il prof. Dal Monte ha fatto anche parte della Commissione ministeriale (ministero della Salute) per la lotta al doping e la tutela della salute nelle attività sportive. Insignito della Stella d'oro al merito sportivo ha ricevuto diverse lauree honoris causa tra le quali quella in Scienza e tecnica dello sport da parte della Facoltà di Scienze motorie dell'Università de L'Aquila.

Fonte: Giornale della Previdenza Enpam (Anno XV – N° 6 2010)

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