Il mio orecchio è diverso dal tuo

La capacità di riconoscere e localizzare lo fonte di un suono o di un rumore, sia essa persona, animale oppure oggetto inanimato, è un prerequisito indispensabile per la sopravvivenza di ogni essere vivente con un sistema uditivo sufficientemente complesso. Mettiamo alla prova questa abilità centinaia di volte al giorno in modo così naturale che fin troppo spesso la diamo per scontata così come diamo per certo che quello che sentiamo noi è quello che sentono tutti. Ma è proprio così? A quanto pare no. Grazie a uno studio pubblicato sulla rivista Business del Biotechnology and Biological Sciences Research Council (BBSRC), un gruppo di neuroscienziati dell'Università di Oxford, guidati da Jan Schnupp, ha scoperto che la corteccia uditiva del nostro cervello, il cui compito è appunto quello di elaborare le informazioni provenienti dall'orecchio, si adatta in modo graduale e progressivo al mondo acustico circostante. Ciò significa che se anche fosse possibile farsi prestare l'orecchio, o meglio il suo sistema orecchio-corteccia auditiva, da un'altra persona, tutti i suoni ci sembrerebbero diversi da quelli cui siamo abituati e probabilmente faremmo fatica a identificarne la provenienza. Il nostro cervello dovrebbe imparare nuovamente a identificarli e localizzarli.

Nel loro tentativo di comprendere come orecchio e cervello interagiscono per creare l'ambiente acustico i ricercatori hanno quindi potuto verificare che la percezione sonora non è determinata solo dalle proprietà acustiche dei suoni che raggiungono l'orecchio, ma anche dal modo particolare con cui queste proprietà variano nel tempo. Infatti,  secondo Schnupp e colleghi, le frequenze e i toni dei suoni che compongono il nostro ambiente sonoro cambiano continuamente con una certa regolarità, per cui le variazioni di tono impercettibili e graduali sono, ad esempio, statisticamente più frequenti di quelle brusche e improvvise. Sulla base di queste statistiche che sono assolutamente personali perché dipendenti dall'ambiente in cui ciascuno di noi vive, i neuroni della corteccia uditiva sembrano riuscire ad adattarsi ai tipi di suono attesi (più frequenti).

Il discorso è un po' complesso, ma un esempio potrebbe chiarirlo meglio. Tutti sappiamo riconoscere il suono generico dei passi delle persone, ma al limite riusciamo a distinguere quello delle donne che portano i tacchi da quello degli uomini. Tuttavia se tra tante donne (o tanti uomini) ci sono persone familiari solo noi potremmo essere in grado di riconoscerle. In pratica uno stesso suono (o rumore) può essere percepito in modo molto diverso da ciascuno di noi, grazie all'adattamento del cervello al proprio particolare ambiente acustico.

L'obiettivo dei ricercatori di Oxford è ora quello di capire come il cervello riesce a distinguere l'intonazione, il timbro e la posizione della fonte nello spazio e come la corteccia ha sviluppato queste capacità, per poter mettere a punto migliori dispositivi di supporto per le persone con disfunzioni uditive.

Dal nostro particolare punto di vista questa ricerca aiuta, invece, a comprendere perché la percezione sonora non può essere ridotta a un mero fatto fisico. Anche il solo considerare l'aspetto psicoacustico, cioè la correlazione tra il fenomeno fisico e i processi cognitivi di riconoscimento e interpretazione, ci fa capire che non siamo semplici riceventi passivi di suoni. Che per ognuno la percezione sonora è estremamente personale. Se poi a questo aggiungiamo anche la componente emozionale e affettiva la nostra unicità di ascoltatori viene fuori in tutta la sua forza. Trovo questo molto affascinante.

Fonte: Lend me your ears

Lascia un commento

Tv cattiva maestra ma buona dottoressa?

A cosa serve la vitamina K e in quali cibi si trova

Leggi anche
Contentsads.com