Intervista a Joel Retornaz, skip della Nazionale Italiana Maschile di curling

di Gianfranco Di Mare

Performance Engineer
 

Joel Therry Retornaz, 22 anni, sportivo sin da bambino, con due grandi passioni: i cavalli ed il curling.
Abbiamo parlato con lui dei suoi inizi, ed abbiamo cercato di carpire i segreti che hanno fatto di lui un grande giocatore.

Joel, qual è la tua storia sportiva?
Ho iniziato a fare curling a 11 anni. Qua a Cembra, in provincia di Trento, si è sempre praticata questa disciplina. Quando ero giovane i miei mi han sempre voluto far fare attività sportiva: ho cominciato a fare equitazione (che poi è diventato il mio lavoro) e una volta hanno detto “dài, proviamo a fare anche il curling!…”. In paese facevano un corso, e con mio fratello ed altri nostri coetanei sono andato e ho provato: era il ’94. Mi è piaciuto subito molto: ci siamo divertiti, poi è uno sport di squadra, particolare… ti prende subito, noi bambini ci abbiamo messo un attimo a capire il senso del gioco… c’era gia subito sfida dalla prima volta.
Ora quando insegno ai bambini anch’io non do dall’inizio tante nozioni di tecnica: preferisco farli giocare da subito, così si appassionano.

Perché poi il curling è diventato il tuo sport?
Mah… vedi, il curling mi ha dato la possibilità da subito di viaggiare molto, perché già nel ’94 ho partecipato ad un Trofeo Topolino, e sono andato a Bressanone a giocare… sai, uscire di casa, andare in albergo, fare un torneo… stai lontano da casa per più giorni… erano belle sensazioni per un ragazzino.

Quale diresti essere l’essenza del curling, la sua caratteristica più importante e coinvolgente?
La colonna portante del curling è senz’altro il fair play: prima di ogni partita stringiamo la mano all’avversario, alla fine lo ringraziamo per la prestazione… questo, anche, ti fa andare avanti: l’onestà degli altri giocatori nei tuoi confronti, il fatto che non ci siano arbitri, che gestisci assieme all’avversario le decisioni della partita… è qualcosa di speciale, che non c’è in altre discipline.
Quando abbiamo battuto il Canada alle Olimpiadi, loro hanno preso una batosta che certo non si aspettavano: noi abbiamo esultato, ma prima abbiamo stretto loro la mano; ed anche loro, pur essendo un po’ giù, ci hanno stretto la mano. Poi… non si sente in TV, ma noi auguriamo sempre all’avversario un buon gioco, e buona fortuna per il resto della competizione. C’è un fair play molto sentito, non esiste che non stringi la mano ad un giocatore dell’altra squadra e non lo ringrazi a fine partita, anche se ti ha fatto perdere. Non voglio dire che l’avversario sia sacro, però viene sempre rispettato. È una gratificazione morale ed estetica allo stesso tempo, qualcosa che ti fa crescere dentro.

Joel, cosa ti ha dato il curling in questi anni di pratica e di competizioni ad altissimo livello?
Mi ha dato tantissimo: il fair play è certamente la colonna portante, ma mi ha dato la capacità di concentrarmi, la freddezza nel gioco… che per uno skip è essenziale: se sbaglia un numero uno o un numero due [i giocatori che lanciano per primo e per secondo, NdA] c’è la possibilità di rimediare, se sbagli l’ultimo sasso il tuo errore va sul tabellone dei punti… hai tanta responsabilità in più [solitamente lo skip, il capitano della squadra, tira per ultimo, NdA].

Cos’è cambiato dopo la vostra esperienza olimpica?
Ora ci sono tantissime richieste di poter giocare, e vengono da tanti posti, anche del sud. Io sono anche consigliere della Federazione Italiana Sport del Ghiaccio, e penso che dovremo rispondere in qualche modo a questo entusiasmo: ci arrivano tantissime richieste ma siamo sprovvisti di centri, in questo momento. Ed è anche un circolo vizioso: se in un posto non ci sono centri la gente non inizia, ma se nessuno gioca è più difficile che i centri nascano. Da qualche parte questo circolo dovrà essere rotto.

Cosa servirebbe per aprire nuovi centri?
Per giocare a curling ci vuole un ghiaccio particolare, non è quello da hockey. Ma per iniziare penso proprio che vada bene anche un ghiaccio grezzo, che si prepara in un’ora. Certo non è quello che trovi alle Olimpiadi… Se la Federazione mettesse a disposizione dei palazzetti, io ed altri istruttori saremmo ben felici di fare magari anche una giornata al mese di full-immersion, per chi volesse iniziare. I cerchi a terra, poi, possono essere solo disegnati e non colorati… per iniziare ed appassionarsi a questo sport questa soluzione è più che sufficiente. Poi se qualcuno volesse giocare seriamente dovrebbe naturalmente andare nei posti dove ci sono le piste “vere”. Ma già un passo molto grande sarebbe portare nei vari posti un istruttore, non dico tutti i giorni… una volta al mese: se ci fosse un buon numero di iscritti riuscirebbe a pagarsi almeno le spese.

E per i sassi, che rappresentano la spesa maggiore? [Uno stone, o sasso, costa circa 1000 euro. Ne servono 16 per disputare una partita tra due squadre, NdA]
Come Federazione noi abbiamo a disposizione anche dei sassi. Una volta i campionati italiani di curling si facevano sulle piste da hockey, perché non c’erano piste fatte apposta: e i sassi erano tutti della Federazione. Adesso che son nati i palazzetti, le varie associazioni [i club agonistici, NdA] si comprano i loro; ma quelli della Federazione restano disponibili, e potrebbero essere trasportati in furgone nella sede dove servissero per il corso. Comunque la Federazione resta l’interlocutore privilegiato per i contatti, ed è lì che bisogna battere.

Voi agonisti di oggi siete praticamente i pionieri del curling in Italia, quelli che di fatto lo stanno inventando,  almeno nell’immaginario delle persone…
Abbiamo avuto la fortuna di trovarci in questo frangente, e di riuscire ad appassionare la gente con una discreta prestazione… se ci sarà un seguito sarà anche per quelli di noi che si sono trovati, in questo momento fatidico, nel posto giusto.

Cos’è cambiato, per voi della nazionale, dopo le Olimpiadi?

Forse è cambiato più l’immaginario della gente sul curling, cosa che mi dà estremo piacere. Prima di andare a Torino il mio obbiettivo principale era di dare più visibilità a questa disciplina, di cui sono innamorato, e purtroppo poco conosciuta: pensa che anche fuori dal mio paesino di 1500 abitanti, nel paese confinante, che sta a tre chilometri, se parlavo di curling non sapevano cos’è! Ora la situazione è cambiata, e questo è il traguardo più grande per noi. Ora sappiamo che dopo i Giochi la fiammella non si spegnerà.

Te l’aspettavi?
Avevamo paura che una brutta figura potesse decretare la fine definitiva del curling in Italia… così, per fortuna, non è stato.

Cosa progetti di fare ora? Quali sono i tuoi programmi post-olimpici?
Mi piacerebbe molto sfruttare l’onda di popolarità di questa disciplina, di cui sono innamoratissimo, per farla diffondere di più: intraprendere iniziative, organizzare clinic, corsi, creare scuole…

In bocca al lupo, allora!
…Crepi!…

 

[domani verrà pubblicata la seconda parte dell’intervista a Joel Retornaz, nella quale il nostro capitano si soffermerà sugli aspetti del gioco, della preparazione, e darà dei consigli a chi vuole diventare un curler.]

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