La bufala dell'indice glicemico – 2

di Gianfranco Di Mare

Performance Engineer
 

Oggi vedremo un esempio di come si può prendere un dato scientifico e farne quello che ci pare…
Chi si fosse perso il post di ieri gli dia una letta prima di continuare… lo spasso è garantito 🙂

L’indice glicemico di un alimento, dunque, ci dice quanto velocemente quel cibo fa aumentare la glicemia rispetto ad un cibo di riferimento.

Primo problema: nel tempo sono state stilate diverse versioni della tabella dell’indice glicemico (da qui in avanti IG), utilizzando due diversi alimenti di riferimento: il gucosio ed il pane bianco. Naturalmente i valori che si ricavano nei due casi sono diversi, perciò:
una tabella seria deve specificare la sostanza di riferimento occhio quando confrontate dati provenienti da fonti diverse! Per passare dai valori espressi relativamente al pane a quelli calcolati rispetto al glucosio è necessario moltiplicare l’IG per 1,37.
Secondo problema: è stato visto che l’indice glicemico di un alimento varia enormemente in relazione a tantissimi fattori. Ad esempio, per un vegetale: il suo stato di maturazione, il periodo di raccolta, la zona di coltivazione, se è crudo, cotto al dente o stracotto… Tenete conto che anche la composizione del pasto influenza la velocità di aumento della glicemia: se mangio della pasta da sola è un conto, se la condisco pesantemente il suo indice glicemico si abbassa molto.

Per l’ultima tabella aggiornata (finalmente si sono acorti della variabilità e l’hanno indicata!) potete andare qui
http://www.ajcn.org/cgi/content-nw/full/76/1/5/T1

Terzo problema: alcuni approcci dietologici commerciali che si basano sull’indice glicemico (ad sempio il metodo Montignac) sostengono che si possono mangiare quantità libere di alimenti, purché a basso IG.
Qui parte l’inganno, che idealizzando l’IG come divinità onnipotente vende agli utenti l’illusione della bacchetta magica che permette di mangiare a piacere… La variazione della glicemia non dipende solo dall’IG, ma anche – ovviamente! – dalla quantità di cibo che mangiamo! 150 grammi di piselli bolliti, ad esempio, che hanno un IG di 33, determinano una risposta insulinica maggiore che 50 grammi di patate fritte (IG di 75). Altro che mangiare a piacere! Questo fattore (che tiene conto dell’IG e della quantità di alimento) si chiama carico glicemico, ed è il vero valore significativo.

Quarto problema: la reazione insulinica è un problema solo se mangiamo più del necessario, o se abbiamo le scorte di glucosio già al massimo: nei casi di un intenso allenamento o lavoro fisico – o comunque quando le nostre scorte vanno ripristinate –  l’insulina non fa altro che ricaricare i depositi che si erano impoveriti, e dunque… ben venga!

Quinto problema: aumentare i grassi o le proteine nell’alimentazione per mangiare meno carboidrati non è una soluzione. Non sto considerando ora solo il punto di vista calorico, ma la nostra salute nel suo complesso. L’organismo può imparare ad usare grassi o proteine al posto dei carboidrati, ma con sostanze di scarto molto faticose da smaltire, con una riduzione dell’efficienza psicofisica e del benessere, con una generale disidratazione interna e col rischio di accumulare sostanze tossiche.

Sesto Problema: Alla fine, un regime dietetico dimagrante funziona solo se si mangia poco, e bene. Tutte le mille proposte commerciali che ci vengono proposte dal mercato non sono che tentativi più o  meno fantasioni di nascondere questa elementare verità.

Image courtesy www.cardiologiapertutti.it

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