La donna in croce e i peccati della comunicazione

Come prevedibile la bomba è esplosa. Basta scegliere l'esplosivo giusto, metterlo dove può fare più danni e accendere la miccia. Voilà, il gioco è fatto!
L'esplosivo in questo caso è la donna crocefissa della campagna contro la violenza alle donne, il posto giusto sono i manifesti appesi in luogo pubblico. La miccia non è nemmeno stato necessario accenderla: con due temi così scottanti shakerati insieme, si è innescato tutto per autocombustione.

Da un lato infatti abbiamo il grave problema della violenza alle donne che miete migliaia di vittime in tutto il mondo, nel silenzio e nell'indifferenza generale. Dall'altro un'immagine che richiama visibilmente a un simbolo religioso per antonomasia come il Cristo in croce che, in quanto sacro, non dovrebbe essere usato per motivi terreni.
Potevano i due temi così essere messi insieme? Forse sì e forse no, ma nel tentativo di capire si è persa "la retta via" e ora ci sono solo i fumi e le macerie dell'esplosione. Come volevasi ottenere.

Per i vari commenti che ho lasciato ai miei colleghi di Blogosfere sull'argomento sono stata definita "voce fuori dal coro". Se questo significa "essere lontana dal coro dei polemici a oltranza" mi sta bene, ma non vorrei che si pensasse che sono a favore della censura o, peggio, che sono favorevole alla violenza contro le donne.
Perché alla fine in Italia si ragiona così: o sei con me o sei contro di me. Le vie di mezzo, le alternative non vogliamo concepirle e di lasciare spazio e tempo a chi vuole capire proprio non se ne parla.

Volete il mio parere? Ebbene, se mi chiedete cosa penso del manifesto creato dall'Arnold Italy per la campagna contro la violenza alle donne promossa da Telefono Donna, vi dico che è perfetta. Ma se mi chiedete se l'avrei usata vi dico "no"!

Sorpresi? Mi auguro di no. Infatti, l'immagine è perfetta per il messaggio che si vuole comunicare, se non per un piccolo dettaglio di cui dirò in seguito.
Nel libro di Isaia, a proposito della crocefissione si legge «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca». (Isaia 53,6-7)
Vi ricorda nulla? Noi gregge di indifferenti di fronte alla sofferenza altrui. Una vittima sacrificale che si lascia ferire e umiliare senza aprir bocca, senza denunciare, come il 96 per cento delle donne che subisce violenza. E quella frase, messa lì nel caso a qualcuno sfuggisse il senso richiamato dal simbolismo del Cristo in croce di cui la donna ritratta sul letto riproduce la posa, a chiedere "chi pagherà per i peccati degli uomini".

Già, chi pagherà? Non certo l'uomo che tra silenzi (i nostri e quelli delle vittime) e leggi inique o incomprensibili la fa sempre franca. Oggi con la donna, come ieri con il Cristo.
Cambieremo mai? Impareremo mai? A mio parere no, fino a quando continueremo a sollevare polveroni sui problemi, per poi dire che non è colpa nostra se non vediamo nulla. Per questo motivo non avrei mai utilizzato questa immagine, sia pure perfetta per rappresentare il messaggio.

Chi l'ha realizzata non poteva non sapere che avrebbe sollevato un polverone e non poteva non capire che questo avrebbe distolto l'attenzione dal vero problema: la violenza alle donne.
Mi chiedo perché utilizzarla? Che cosa hanno ottenuto? Coro di polemiche inutili e immagini tolte in fretta e furia dai muri della città con rincorsa dell'ultimo minuto per trovare qualcosa di alternativo, che, come tutte le cose dell'ultimo minuto, potrebbe non essere la migliore.

Le polemiche sono inutili perché da un lato c'è un assessore che dice "potrebbe urtare la sensibilità religiosa di qualcuno. Leviamoli" dall'altro qualcuno che dice "censura? Non sia mai". Perché il punto è proprio questo: alla parola censura, tutti pronti ad armarsi e partire contro il censore e poco importa cosa stia censurando. Cosa c'è di male nella censura? Dovremmo forse essere liberi di dire e fare quello che ci pare solo in nome di un mal celato spirito anarchico? Chi ha fatto levare i "bambini impiccati" di Cattelan da un parco pubblico, avrebbe dovuto essere chiamato censore bigotto? Non era forse Cattelan, nel suo tentativo di rivendicare il diritto a esprimersi come voleva, a togliere la libertà a bambini e famiglie di entrare in un parco senza doverne uscire angosciati?
La verità è che la libertà di ciascuno di noi finisce nel momento in cui inizia quella degli altri e chi si occupa di comunicazione non può sfuggire a questo principio.

Inoltre, che si tratti di semplice marketing o campagna di sensibilizzazione, utilizzare il crocifisso è da evitare, non solo per una questione di rispetto per chi è credente, ma proprio per assicurarsi che il messaggio voluto arrivi al destinatario: a quasi 2 mila anni dalla morte di Cristo chiunque sa che utilizzare invano il crocifisso solleva polveroni e perciò chi si ostina a usarlo lo fa per attirare attenzione su di sé e non sul messaggio. Mira a muovere grandi folle di opinionisti, fare numero. Può andar bene se sotto sotto di messaggio non ce n'è, come nella comunicazione vuota di senso che impera oggi. Ma nel caso della campagna sulla violenza alle donne il messaggio c'era, eccome! Perché offuscarlo con fumose polemiche?

Le campagne di sensibilizzazione non devono perdere mai di vista la qualità e soprattutto non devono cadere nella contraddizione di fare opera di sensibilizzazione verso il problema di qualcuno mancando di sensibilità verso il problema di un altri.

E ribadisco che non lo dico perché è il crocefisso: avessero usato il simbolo di un altra religione avrei detto lo stesso. La comunicazione dovrebbe occuparsi delle cose terrene perché il sacro messo in piazza inevitabilmente suscita polemiche. Ed è giusto che sia così: la comunicazione tra l'uomo e il divino (chiunque esso sia) è qualcosa di estremamente personale, sacro e inviolabile. Il mettersi in mezzo, violando questo spazio intimo e personale è paragonabile a una violenza fisica, come quella sulle donne. Da qui l'affermazione di Cadeo secondo cui non si può rispondere alla violenza con la violenza.

P.S. Ho detto che l'immagine scelta dall'Arnold Italy è perfetta, ma se posso fare un piccolo appunto, secondo me la donna è troppo magra. Troppo modella appena scesa da una passerella. Se avessero scelto una donna più "normale" le donne sarebbero riuscite meglio ad identificarsi e in fondo era questo lo scopo della campagna: sensibilizzare l'opinione pubblica sul problema, ma anche dare coraggio alle donne vittime di violenza che ancora non hanno trovato la forza di denunciare i loro aguzzini.

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