La natura non fa più notizia!

Di natura in Italia non si parla più, a meno che non accada una grave catastrofe che ne mini l'integrità o ne sveli il lato di matrigna crudele capace di uccidere i suoi figli.

Cambiamenti climatici, frane, valanghe, tsunami e terremoti vengono sbattuti regolarmente in prima pagina o nei Tg della sera con titoli apocalittici che inquietano ma "vendono".
Per la Natura più "ordinaria" nella sua straordinarietà non c'è, invece, spazio nei media.

Domenica scorsa ad esempio c'è stato l'equinozio di primavera. E questa sarebbe stata già una notizia: il miracolo della Natura che si ripete con il risveglio degli animali, lo sbocciare dei fiori e l'esplosione di colori. Ma, appunto, si ripete.
Torna ogni anno come da millenni a questa parte. Come il giorno e la notte.
Chi ci fa più caso, assuefatti e illusi come siamo che, per quanto straordinario, sia comunque uno spettacolo sempre uguale a se stesso.

E poi è una lieta novella, qualcosa di cui essere felici: non fa notizia se non s'intravede almeno un allarme che possa destare attenzione.
Certo, volendo lo si può trovare. I media sono bravissimi nel creare allarmismi anche dove non ce ne sono.
E infatti il 21 marzo l'arrivo della primavera è stato annunciato da tutti i media quasi senza eccezioni associato ai cambiamenti climatici complice il fatto che un po' su tutta Italia regnasse il maltempo.
ANSA ad esempio titolava "Clima: pazza primavera, pesa l'effetto serra". E a seguire: "Primavera sempre più pazza: ufficialmente scatta oggi, ma è arrivata in anticipo per l'effetto serra in gran parte del mondo. In Italia si prevede una stagione più piovosa e un po' meno calda rispetto alla media degli ultimi 30 anni. Le ragioni sono la scarsa attività solare, il forte innevamento nell'emisfero Nord e un'anomalia dei venti stratosferici equatoriali. In Giappone i 'sakura' (fiori di ciliegio) sono comparsi con grande anticipo, mentre in Usa è strage di violette."
Ma poi ci si annoia e si rischia di cadere in clamorose contraddizione che qualcuno presto o tardi ti farà notare. L'8 di marzo, infatti, per colpa sempre delle pazzie climatiche piangevamo l'assenza le mimose e il relativo salasso del portafoglio per omaggiare le donne di tutta Italia.

Ce n'era abbastanza per protestare, ma in fondo anche il pubblico ha una sua vena "catastrofista".

La maggior parte di noi si interessa di natura per via indiretta, attraverso i media, e solo se accade qualcosa di grave, ma pochi sono quelli che se ne interessano per la sua bellezza o i suoi miracoli e ancora meno quelli disposti a spendere un po' del loro tempo per viverla in prima persona, visitando le nostre oasi e riserve naturali che ancora resistono all'incuria e all'indifferenza.

Prendiamo ad esempio i nostri Parchi. Chi può dire di conoscerne, anche solo vagamente, il numero? E quanto possono dire di averne visitato uno?  
"I parchi sono fuori moda come gli ecomusei, le montagne, la biodiversità.  – spiega Enrico Camanni, direttore editoriale della rivista Piemonte ParchiTutte "idee" che hanno valore in sé, e quale valore!, ma che apparentemente non producono reddito e consenso. Eppure…"
Eppure non si direbbe a giudicare dal numero di persone che il 14 gennaio scorso hanno partecipato all'incontro "Perché i parchi non fanno notizia?" organizzato al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino dalla rivista stessa che ora ne ha pubblica il resoconto nel numero di marzo.
"Il titolo era volutamente retorico e muoveva dalla constatazione di un giornalismo sempre più asservito alla notizia eclatante ma di breve durata, dalla nostalgia per la scomparsa dei grandi mensili naturalistici italiani, dall'esigenza di trovare nuove parole per raccontare i parchi e la vita incessante dei loro territori, laboratori di dialogo e buone pratiche. – racconta Camanni, – Ma «A chi mai potrà interessare?» ci chiedevamo."
"Inutile quindi dire quanto siamo rimasti sconcertati, quando il giorno dell'incontro aprendo con qualche riserva al vasto pubblico la tavola rotonda sulla "comunicazione dei parchi" ci siamo trovati una sala traboccante di persone, provenienti da svariate regioni d'Italia. Circa 150 cittadini (operatori dei parchi, biologi, naturalisti, giornalisti, fotografi, editori) sono venuti al Museo di Scienze Naturali di Torino per capire che ne era dell'idea-parco al tempo della crisi."

Il problema è stato analizzato sotto tutti i punti di vista. Si è parlato di grandi media, oggi assai più interessati alle dinamiche planetarie del riscaldamento globale che ai modelli di sviluppo locale, e di piccoli media, un po' accecati dal pettegolezzo di provincia ma aperti alle notizie del territorio. E sono stati dati anche suggerimenti tecnici agli uffici stampa dei parchi (almeno i pochi che possono permetterseli) su come veicolare la notizia per "bucare" la carta e il video, e raggiungere i canali minimi di diffusione, perché "se poi le aree protette non finiscono quasi mai in prima pagina un po' di colpa ce l'hanno pure loro", annota Carlo Grande, giornalista de La Stampa.

La paura però resta perché le logiche della comunicazione rivolta al grande pubblico sembrano oggi incompatibili con le caratteristiche che deve avere l'informazione scientifica per risultare chiara e corretta.

Che fare dunque? Esiste un modo per comunicare le aree protette senza doversi piegare alla logica della spettacolarizzazione delle notizie, stile "Calendario delle guardiaparco" o "Grande Fratello dei Parchi"?", si chiede Mauro Pianta nel suo articolo.
"Se c'è, occorre scovarlo. E bisogna anche fare in fretta. La sfida dei prossimi anni – scrive Pianta – si gioca tutta qui: avvicinare le persone ai parchi, raccontare la vera identità di questo mondo attraverso linguaggi e modalità nuove. Ma senza inseguire a tutti i costi la logica ansiosa del media-system che rischia di banalizzare una realtà costituita da valori antichi e profondi."

In definitiva, poiché ogni "crisi" profonda è prima culturale che economica, si è convenuto che occorra innanzi tutto chiarire a noi stessi e comunicare alla gente che cosa si nasconde dietro la nobile idea di "parco", al di là dei pregiudizi, dei limiti ideologici e anche delle facili illusioni.
Ci sembra che il prossimo passo, dopo aver verificato l'urgenza e la popolarità della questione, sia rimettere a fuoco il messaggio originale, togliendo dai comunicati stampa ogni allusione al vincolo, al recinto, al "parco poliziotto", e trovando nuove parole (e nuovi veicoli) per dire "progetto", "convivenza", "diritto di futuro".
Allontanandosi "dall'ombra del parco-museo, che sa inevitabilmente di vecchio e "conservativo", – suggerisce – bisogna creativamente passare al chiarore del parco-officina, di un mondo possibile e di una società più giusta per chi verrà".

Ma al di là di come fare, è poi davvero un bene che si parli di aree protette? La domanda sibillina è stata raccolta da Giulio Caresio, redattore della rivista Parchi: "Comunicare significa condividere, mettere in comune una parte di sé. Ora, se i parchi comunicano bene verranno scoperti da un maggior numero di persone, avranno maggiore attenzione, maggiori fondi e soprattutto potranno diffondere la cultura profonda, la sapienza antica dei quali sono i custodi. Esistono ancora realtà – ha continuato Caresio – che hanno un valore in sé: la bellezza, il silenzio, il rispetto. Sono tutti aspetti essenziali della cultura dei parchi. È necessario trovare un nuovo modo per trasmettere questi valori senza appiattirsi sul marketing: da questo punto di vista potrebbe essere utile guardare all'operazione compiuta da Carlin Petrini e da Slow Food, e al loro modo di valorizzare il rapporto tra cibo e cultura". "Dobbiamo rimboccarci tutti quanti le maniche – ha esortato Giulio Ielardi – per incrementare sempre di più, anche sotto il profilo della consapevolezza culturale, il numero degli amici dei parchi".

Non è facile, certo. "Serve un'iniezione di cultura scientifica e di razionalità» come suggerisce Giampiero Sammuri, ma servono anche «tempo, coraggio e investimenti, soprattutto nell'educazione", aggiunge ancora Ielardi.
Insomma, sulla comunicazione dei parchi non è il caso di farsi troppe illusioni ma non è nemmeno il momento di abbandonarsi al naufragio del pessimismo perché qualche segnale positivo c'è.

Questo incontro ad esempio. E la rivista Piemonte Parchi, che è davvero un gioiellino per tutti quelli che, come me, si sentono orfani delle belle riviste naturalistiche di una volta quando mettono piede in un'edicola.
Vi consiglio di darle un'occhiata spulciando anche nell'archivio, sono sicura che troverete tanti articoli interessanti anche se non siete piemontesi e non avete mai messo piede in un Parco naturale.

Qui sotto invece un curioso video di Focus on top, che relaziona i dati statistici di diversi Paesi tra aree protette e inquinamento.

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