La ricerca scientifica in Italia – II

di Gianfranco Di Mare

Performance Engineer

Nel post precedente ho sottolineato che il ricercatore in Italia è, sostanzialmente, stipendiato dallo Stato, che sia un ricercatore universitario o –  ad esempio – un membro di un’organizzazione statale.

In effetti solo i Governi o societá private estremamente potenti possono permettersi di fare vera ricerca, almeno nelle modalitá nelle quali è condotta oggi: quando non è la ricerca in sé a richiedere investimenti rilevanti ci sono le spese di brevetto (in certi settori si arriva ad oltre 100.000 € per una copertura planetaria). Non è un discorso di secondo piano: la capacitá di tutelare il proprio lavoro va considerata alla pari delle capacitá innovative in senso stretto: la storiografia – anche recente – è ricchissima di scienziati miti e ingenui che fanno scoperte destinate a cambiare il nostro mondo (il telefono, la vulcanizzazione della gomma…) e muoiono poi in povertà e dimenticati, perché non hanno saputo o potuto proteggere le loro ricerche.

In questo quadro, la ricerca indipendente – in qualche modo naïf e spontanea, basata sulle intuizioni di un singolo – non è possibile. Ogni ricerca nasce da una pianificazione d’investimento, che presuppone un ROI (ritorno sull’investimento) ben chiaro e definito. Questo ha importanti conseguenze:
La decisione di intraprendere una ricerca parte spesso da un organo decisionale e non dai ricercatori; questa decisione viene presa solo se esiste una precisa prospettiva di profitto (la differenza tra ricavi e costi); spesso non c’è lo spazio / il tempo/ il modo / l’interesse per gestire una scoperta intermedia – relativa ad altri settori – che venga fatta magari casualmente o come sottoprodotto di una procedura; in ogni caso c’è un’organizzazione che pensa e progetta, e ciò costituisce in uno la forza ed il limite di questo approccio. Il ricercatore mette il suo talento e la sua professionalità al servizio di un progetto prestabilito, mentre magari avrebbe il desiderio di dedicarsi ad altro: ma va lì dove ci sono le risorse, cioè dove lo pagano.
Tuttavia la situazione in Italia è ben peggiore di quanto possa apparire a prima vista. Nel prossimo post pubblicheró un’intervista ad un ricercatore italiano – che ha preferito mantenere l’anonimato – che ci dará la possibilitá di dare uno sguardo piú che inquietante all’asettico e razionale mondo degli scienziati nostrani. Per dimostrare quanto poco la conosciamo – e possiamo conoscerla – dall’esterno.

Non ve la perdete.

Image courtesy coopfirenze.it

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