La SLA del Rugby si chiama suicidio

Il rugby come il calcio ha il suo cancro. Ma se il male che colpisce subdolamente gli ex calciatori in percentuale spropositata rispetto ai non calciatori si chiama sclerosi laterale amiotrofica (SLA) quello che degli ex rugbisti si chiama suicidio.

Secondo un'indagine epidemiologica promossa dalla Procura di Torino è questa la principale causa di morte tra gli atleti che hanno dedicato la giovinezza alla palla ovale. Lo ha rivelato il procuratore Raffaele Guariniello, a margine del convegno "Per continuare la lotta al doping" promosso dalla Fondazione Benzi a Roma.

L'indagine è ancora in corso, ma, ha riferito Guariniello, "sui 12.500 casi di ex rugbysti analizzati, abbiamo trovato 200 cause di morte, la più frequente delle quali è proprio il suicidio. Si tratta di uomini ancora giovani, è un fenomeno che non riusciamo a spiegare e anzi speriamo che qualche esperto di rugby ci aiuti a capire quali sono le cause di questo trend".
Il paragone con la SLA non è casuale: l'indagine, infatti, è stata promossa principalmente per valutare se anche tra i rugbysti ci fosse la stessa elevata incidenza di casi della malattia rilevata nei calciatori, ma la risposta è decisamente negativa con nessun caso trovato finora. Il che escluderebbe due delle possibili cause ipotizzate per spiegare l'"epidemia" di SLA tra i calciatori, cioè i traumi di gioco e qualcosa collegato ai campi verdi. Anche se, puntualizza Guariniello, "ci hanno spiegato che i campi del rugby sono diversi da quelli da calcio perché hanno ad esempio l'erba più alta. E inoltre i rugbysti si allenano sul campo molte meno ore a settimana rispetto ai calciatori". Dubbia anche la questione dei traumi: "Contrariamente a quanto si possa pensare, sembra che i rugbysti subiscano meno traumi da gioco dei calciatori".

In ogni caso la SLA nei calciatori resta un fenomeno inspiegabile: "Dicono che ci sia una predisposizione genetica – fa notare Guariniello – ma allora devono spiegarci perché colpisce chi gioca a calcio e non chi gioca a rugby".

E come spesso accade nel mondo della ricerca, nel tentativo di trovare una risposta a un problema trovi altri problemi, così ora dovremo capire anche perché i rugbisty si suicidano più spesso di altri ex atleti.

Credo che la prima domanda da porsi sia valutare la presenza di problemi psichiatrici nel periodo precedente il suicidio.
Parlando di suicidio e rugby infatti, la mente corre subito al dramma di Daniel James, giovane speranza inglese che ha chiesto e ottenuto di morire perché non sopportava più l'idea di continuare a vivere con le conseguenze dell'incidente che lo aveva paralizzato durante una partita. In questo caso però si trattava di un suicidio medicalmente assistito effettuato il 21 settembre in una clinica Svizzera, uno dei pochi Paesi dove questa pratica è legale. Forse anche in questo caso la motivazione è la presenza di una malattia mentale come la depressione che nel corso di una malattia fisica può sempre minare la possibilità di vedere la speranza di un futuro comunque appagante e degno di essere vissuto. È un discorso complesso che chi assiste malati gravi o terminali dovrebbe sempre affrontare in presenza di una richiesta di "dolce morte".

Il suicidio di cui parla Guariniello invece è il gesto efferato di una persona che si dà la morte senza un apparente motivo. Un motivo invece c'è sempre. Anzi più d'uno: c'è la spiegazione che si dà il suicida per motivare a sè e agli altri un gesto così estremo e senza ritorno e c'è la spiegazione che dà la scienza.

Più del 90 per cento dei suicidi avvengono in presenza di una malattia mentale e nella maggior parte dei casi il disagio era già manifesto anche per l'occhio meno esperto. Giochi di ruoli e meccanismi psicologici individuali e relazionali possono impedire di vederli, ma il raptus, il fulmine a ciel sereno, il gesto improvviso e senza spiegazione che molti amici e familiari di suicidi raccontano subito dopo non è credibile. Nel restante 10 per cento dei casi il sospetto è che una malattia mentale ci sia ma resti difficile da identificare anche per l'occhio più attento, soprattutto post mortem.

Il suicidio tra gli ex giocatori di rugby è comunque una rivelazione, ma per me molto interessante, cercherò quindi di scoprire cosa dice la scienza in proposito.

Fonte: AGI

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