Le immagini del terremoto: un bene o un male?

Ne abbiamo viste molte in questi giorni e tutte ugualmente strazianti.
Come non sentire una stretta al cuore vedendo anche solo tutte quelle macerie da cui, inevitabili, emergono gli oggetti di vita, i ricordi che potrebbero essere tranquillamente quelli di ciascuno di noi.

Purtroppo, i segni del terremoto vanno ben oltre quelli lasciati sulle case o sulle strade. Le immagini che abbiamo viste numerose in questi due giorni ci hanno mostrato tutto: i volti persi e confusi delle persone che ancora stentavano a capire, i pianti disperati e strazianti dei parenti e degli amici delle vittime, contrapposti a quelli liberatori di chi dalle macerie veniva invece estratto ancora vivo, di cui l'ultima questa notte, a 43 ore dal disastro (la foto in alto è già stata eletta a immagine simbolo di questo terremoto). E poi ancora i corpi straziati o feriti, le bare allineate.

Queste immagini rimarranno per sempre nella nostra memoria e in futuro avranno un potere evocativo di emozioni e sentimenti fortissimo, in particolare per chi la tragedia de L'Aquila l'ha vissuta in prima persona.

È un bene tutto questo?

Il valore documentario a breve e lungo termine è innegabile, ma in questi documenti ci sono persone che hanno dei diritti, siano sopravvissute oppure no.

Allora, quanto e cosa è giusto riprendere e mostrare? Quale effetto possono avere ora le immagini del terremoto su chi l'ha vissuto e su chi lo vive attraverso i mezzi di informazione? Quale effetto avranno fra qualche anno o decennio?

Occorre interrogarsi e se necessario fermarsi. Esistono infatti opposte visioni sull'argomento. Ad esempio, secondo Massimo Di Giannantonio, docente di psichiatria all'università Gabriele D'Annunzio di Chieti, potrebbero essere un bene anche per chi è alle prese ad esempio con lo stress da crisi economica. "Le immagini del terremoto che ha sconvolto l'Abruzzo – spiega infatti Di Giannantonio – potrebbe innescare nelle persone uno stimolo positivo, una reazione costruttiva ai propri guai".

Purché ovviamente non siano troppo coinvolte o non abbiano problemi di natura psichica.
"Le immagini che ci arrivano dai luoghi del disastro, nelle persone senza problemi psicopatologici – evidenzia lo psichiatra – possono innescare stimoli positivi, reazioni costruttive e riparative. Soprattutto in quelle persone che vivono momenti difficili, magari alle prese con problemi di lavoro, che vedono di colpo i propri guai ridimensionati. Viceversa, su chi è psicopatologicamente vulnerabile queste immagini possono invece aumentare il grado di sofferenza personale, provocando una diminuzione della motivazione esistenziale".

La cautela in ciò che si decide di mostrare è quindi d'obbligo da parte dei media anche solo considerando chi vive il dramma a distanza. Girolamo Baldassarre, responsabile del Gruppo di lavoro in psicologia dell'emergenza del Consiglio nazionale dell'Ordine degli psicologi, che in questi anni si è occupato di numerosi altri eventi simili nel Centro-Sud del Paese, e segue da vicino la situazione in Abruzzo (ieri abbiamo visto il suo intervento a proposito del rischio di attacchi di panico nelle vittime) lancia invece un monito contro i potenziali effetti deleteri che le immagini pubblicate oggi possano aversi sulle vittime che un domani vi si riconosceranno. Un problema che secondo l'esperto riguarda soprattutto i bambini ritratti con particolare insistenza in questi casi.

Baldassarre fa un esempio preciso. Ieri dalle pagine dei maggiori quotidiani italiani faceva, infatti, capolino la foto di una mamma dell'Aquila con la sua bambina, ferite dal terremoto e curate all'Ospedale Civico della città abruzzese. Un volto triste e sporco di terra, con una benda fra gli occhi iniettati di sangue e la mano ad accarezzare la sua bimba ferita e scarmigliata, che dorme tranquilla dopo la grande paura.

Sembra innocua e rasserenante, sapendo che sono entrambe scampate al pericolo, ma potrebbe rivelarsi un boomerang. "Immagini di tragedie di questa portata, specie quelle con i bambini, rischiano infatti di complicare i traumi". Per dare un'idea del problema, lo psicologo ricorda l'immagine celebre della bambina vietnamita ustionata dalle bombe nel '72, fotografata mentre, nuda e con il corpo in fiamme, fugge urlando. Oggi la signora Kim Phuc vive in Canada, "ma certo rivedere la sua immagine che è entrata nell'immaginario di tutti noi le farà sentire ancora il bruciore sulla pelle".

"Occorre fare una grandissima attenzione alle immagini. – ammonisce l'esperto – Le immagini attivano direttamente, senza filtri, fin nel profondo. E rischiano di favorire elementi di fissazione, specie appunto quelle dei bambini."
Insomma, "rischiano di rendere i traumi più complessi", ribadisce ricordando che "la stampa ha comunque siglato la Carta di Treviso e dunque sarebbe opportuno rispettarla per tutelare al meglio i bambini".

Mostrare o non mostrare dunque?

Non ho una risposta assoluta in merito. Il ragionamento di Di Giannantonio è corretto, ma Baldassarre, giustamente, riporta l'attenzione sul benessere di chi è ritratto più che di chi sta a guardare dal caldo di casa sua coi familiari accanto, seppur in un momento di crisi.
Vero è che certe immagini già oggi sembrano impietose e non necessarie anche a me che vivo a Milano e al massimo vivo la crisi economica. Voi che ne pensate? C'è un'immagine che vi ha fatto particolarmente male?

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