L’odore assordante del bianco: l’ossessione di van Gogh nel manicomio-lager

Pensate a cosa può provare una persona che ha un bisogno disperato di colore, costretta invece a vivere immersa nel bianco di una struttura manicomiale di fine ‘800. È quello che deve aver provato Vincent Van Gogh nel periodo che trascorse al manicomio di Saint-Paul-de-Manson in Provenza sul volgere al termine del 1889. Ed è anche la storia narrata ne L'odore assordante del bianco, una rappresentazione teatrale scritta e diretta da Stefano Massini che nella versione in scena dal 6 al 25 maggio al Teatro Elfo di Milano, vede la partecipazione di Mauro Malinverno (Vincent Van Gogh), Antonio Fazzini (l'amato fratello Theo), Roberto Posse (Dottor Peyron), Fernando Maraghini (Dottor Vernon-Lazare), Massimiliano Paggetti (Gustave), Roberto Gioffrè (Roland). Completano il gruppo Laura Benzi alla scenografia, Roberto Innocenti alle luci e la costumista Micol J. Medda.

Vi scopriamo un Vincent alle prese con medici aguzzini, pionieri della psicanalisi e infermieri kapò gonfi di birra che, come se non bastasse, deve cercare anche di ritrovare la realtà tra ciò che vede e ciò che la sua mente allucinata gli rimanda. Rinchiuso nel manicomio di Saint-Paul-de-Manson in Provenza, il pittore olandese vive prigioniero delle proprie ossessioni, impedito anche a dipingere e quindi ridotto pure come artista a uno stato di totale frustrazione dalla pratica persecutoria con cui in quel luogo viene osteggiata ogni forma individuale di diversità. Ed è proprio nel colore, o meglio nella sua mancanza, che si percepisce il vissuto angosciante della situazione. "La scena immersa in un bianco allucinato e allucinante che ottunde, e quindi anche assorda, tutti gli altri sensi. È tutto il mondo di Vincent van Gogh che viene rinchiuso e affogato in quel bianco: i suoi colori e le sue ambizioni, i suoi ricordi e i suoi sogni. Ma soprattutto la sua normalità che seppur da sempre versi nella follia e nell'allucinazione, ha imparato a seguire accettabili binari di diversità. Ma in quella chiusura totale al mondo, Vincent si perde nelle proprie farneticazioni e nelle trappole tese dalla mente. Ascolta il fratello arrivato fino a lì dopo ore di viaggio e, terrorizzato, cerca di capire se lui sia vero o solo un'ennesima illusione; quelle pareti, quel letto, quella stanza così universalmente bianca hanno rinchiuso ed ingannato la sua mente e ne hanno infine spezzato il filo, già tanto debole, che fino ad allora lo aveva tenuto legato alla realtà" scrive infatti Valeria Chiari.

Rodolfo Sacchettini ha definito il lavoro di Massini "un testo claustrofobico, duro, che si legge d'un fiato. Tutto si svolge all'interno della stanza, di quella cella in cui fu rinchiuso il pittore in preda a isterismi e ad allucinazioni. Ma la forza del testo consiste soprattutto nella capacità di costruire una scena in cui il lettore spettatore è partecipe diretto dei fantasmi e dei deliri dell'artista, è ambiguamente accolto in una mente difficilmente decifrabile e sofferta. (…) Ma al di là della storia, ben strutturata e ordinata nel susseguirsi degli eventi, è soprattutto la capacità di disegnare la mente sfuggente e visionaria di Van Gogh – attraverso il nitore di una scrittura secca e limpida – a dare al testo quella forza necessaria per trasmettere un forte senso di angoscia senza cedere a pietismi o a quei luoghi comuni in cui sarebbe stato facile cadere. Apparentemente sembra solo una storia di ordinaria follia, uno spaccato di vita reclusa nel manicomiolager di Saint-Paul-de-Manson in Provenza (è il 1889 e il protagonista del testo è l'internato Vincent Van Gogh, qui alle prese con medici aguzzini, infermieri kapò gonfi di birra e pionieri della psicanalisi). In realtà c'è ben altro che l'Ottocento, il manicomio e il ritratto di un pittore famoso: con il pretesto di Van Gogh ho provato a farmi molte domande sul senso della nostra presunta lucidità (ovvero "normalità"). Ho provato a chiedermi cosa significa essere sicuri di ciò che vediamo, sicuri di ciò che definiamo "la realtà". Ho provato a crearmi dei dubbi, a mettere in discussione la certezza tassativa che i miei occhi, i miei orecchi, tutti i miei sensi non possano sbagliare. Se cominci a porti queste domande ti accorgi che tutto crolla."

Dalla rassegna stampa vengono molti altri commenti entusiasti. Sergio Colomba, su La Nazione ha scritto che "Massini si preoccupa di scavare dentro un'anima incapace di capire se stessa prima ancora della realtà da tradurre sulla tela. Tutto senza retorica da maledettismo, grazie anche al secco studio d'artista che disegna Mauro Malinverno, tanto convincente nella materiale irruenza."

Enrico Fiore, su Il Mattino, ha sottolineato invece "come il pregio del testo che ha vinto il Premio Tondelli 2005, è quello di far assistere a uno scontro titanico tra la mente e il corpo ma dove la mente non è, come d'istinto si sarebbe portati a credere, quella di Van Gogh, colto all'età di trentasei anni durante l'internamento nel manicomio, bensì quella del fratello Theo. È in questo spiazzamento, addirittura onnivoro, la fonte dell'energia drammaturgica che anima il copione."

Insomma un altro appuntamento importante per chi vuole capire cosa c'è sotto al rapporto tra salute o malattia e arte. Per tutti quelli che non sono di Milano o non possono goderselo, ricordo come sempre di tenere d'occhio la programmazione nei teatri della propria città. Chi invece potrà  andare già al Teatro dell'Elfo, non avrà che da recarsi in Via Ciro Menotti 11, 20129 Milano negli orari di spettacolo (da martedì a sabato alle 20.45 e la domenica alle ore 16.00). Per qualsiasi ulteriore informazione visitate il sito Teatro dell'Elfo o telefonate al numero 02 716791.

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