Media troppo veloci per la moralità tartaruga dell'uomo

Il cervello umano è troppo lento per star dietro ai media di oggi, soprattutto se entrano in gioco le emozioni legate al senso morale.

A dirlo è uno delle massime autorità in materia come Antonio Damasio che insieme ai collaboratori del Brain and Creativity Institute della University of Southern California ha realizzato uno studio che oltre ad essere uno dei primi a passare dall'esame di emozioni primarie come il dolore e la paura a quello di emozioni complesse come l'ammirazione e la compassione, ha significative ricadute sulla comprensione della percezione umana degli eventi e sul modo in cui ci si dovrebbe rapportare all'informazione in un mondo dominato dalla comunicazione digitale e televisiva.

Dall'articolo pubblicato sull'ultimo numero dei sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) risulta infatti che in definitiva le emozioni legate al senso morale sono elaborate lentamente dal cervello. Troppo per la rapidità dei media che oggi più che mai fanno leva sulle emozioni.
"Noi separiamo il bene dal male in gran parte proprio grazie al sentimento di ammirazione. – osserva Mary Helen Immordino-Yang, prima firmataria dell'articolo – E' una reazione fisiologica profonda molto importante nella definizione della nostra umanità e come tale, è profondamente radicata nel cervello e nella sensibilità del corpo, coinvolgendo sistemi neuronali primari che regolano la chimica del sangue, il sistema digerente e altre strutture."

"Tuttavia, – osserva la ricercatrice – per alcuni tipi di pensiero, e particolarmente per il processo decisionale morale su situazioni psico-sociali che riguardano altri, abbiamo bisogno di un certo tempo e di riflessione".

L'essere umano è infatti in grado di classificare l'informazione molto rapidamente e può rispondere a segnali fisici di dolore negli altri nell'arco di frazioni di secondo, ma, come ha scoperto appunto il gruppo di lavoro diretto da Antonio Damasio, l'elaborazione di emozioni sociali complesse quali l'ammirazione o la compassione, che pure si basano su queste più elementari, richiede un tempo superiore.

Nel corso di sedute sperimentali i ricercatori hanno monitorato con tecniche di brain imaging l'attività cerebrale di un gruppo di volontari mentre ascoltavano il resoconto di storie di vita vera tali da suscitare ammirazione per un comportamento virtuoso o per un'abilità, e rispettivamente di compassione per uno stato di sofferenza psico-sociale oppure di dolore fisico.

Le immagini cerebrali ottenute dai ricercatori hanno mostrato che per una risposta cerebrale completa a storie che illustravano situazioni di sofferenza sociale o di azioni encomiabili erano necessari dai sei agli otto secondi ma, per contro, una volta divenuta cosciente la risposta permaneva più a lungo rispetto a quella suscitata dal confronto con un dolore fisico. Cosa che è anche una bella notizia, l'importante però è arrivarci.

Una delle questioni più importanti sollevate dallo studio è proprio quella delle ripercussioni per lo sviluppo del senso morale degli individui in una società dove l'informazione corre veloce e senza filtri.
Siamo condannati a una deriva morale senza speranza di inversione di marcia, visto che i media non accennnano a voler fermare la loro rincorsa al sempre più veloce? Qual è, dunque, il costo emotivo, soprattutto per un cervello in via di sviluppo, dell'affidarsi al flusso molto rapido di notizie frammentate proposte da televisione, videogiochi, internet e social network? E quale, se c'è, la soluzione?

I ricercatori non sembrano lasciarsi andare al pessimismo. Riferendosi ai media, Immordino-Yang puntualizza ad esempio che "il problema non è quello dei mezzi di cui si dispone, ma dell'uso che se ne fa. In una cultura mediatica in cui la violenza e la sofferenza diventano uno show senza fine, che si tratti di fiction o di 'infotainment', gradualmente si instaura una indifferenza verso la sofferenza umana".

"Ciò che più mi preoccupa è ciò che avviene con la brusca giustapposizione che si trova, per esempio, nelle notizie", aggiunge Damasio. "Quando si ha a che fare con le emozioni, dato che questi sistemi sono intrinsecamente lenti, quello che possiamo dire è: non così veloci."

"Se si accavallano troppo rapidamente, non si riesce ad avere una completa esperienza emozionale dello stato psicologico delle altre persone e questo può avere delle conseguenze sulla propria moralità", ha sottolineato Immordino-Yang.

Insomma, non siamo proprio senza speranza, ma è chiaro che qualcosa deve cambiare, sia nel modo di fare informazione sia nel modo di fruirne. Non potendo sperare in un cambiamento di rotta altrettanto rapido quanto la velocità di marcia nella direzione attuale da parte dei media, possiamo e dobbiamo difenderci noi. Ad esempio, ritagliando soprattutto per i più piccoli, delle oasi di umanità dove poter stare a contatto con altri esseri umani o con la natura in cui la velocità degli eventi e della comunicazione sia a misura di cervello e senza la mediazione di strumenti tecnologici che possano filtrare le emozioni.

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