Quando i tendini sono a rischio – II

di Gianfranco Di Mare

Performance Engineer

Guardando alcuni correre si ha l’impressione che anziché accarezzare il terreno, trarre forza dal contatto, muoversi come delle molle, costoro lo colpiscano ripetutamente, quasi prendendolo a schiaffi coi piedi (poi dice che uno corre… coi piedi). Molti corridori professionisti lo fanno. Basta guardare la loro corsa al rallentatore, e poi confrontarla con quella di un animale selvatico (un gatto, ad esempio) per vedere subito la differenza.

Parlo della corsa perché è un caso evidente, ma anche perché tra tante attività la corsa è tra quelle nelle quali si può – volendo – caricare sulle articolazioni il massimo del peso col massimo della violenza. Ma tutti i gesti veloci e forti (colpire una palla a mani nude o con un attrezzo, tirare un colpo ad un avversario) andrebbero effettuati con grande sensibilità, in modo da sfruttare l’elasticità dei tessuti per ammortizzare la fase traumatica di un movimento e per accumulare potenza.

Una delle ragioni per cui i nostri tendini possono soffrire è quando questa doppia qualità viene a mancare. Il tendine, giorno dopo giorno, comincia a danneggiarsi alterando la propria struttura tissutale. Gli eventi traumatici (detti microtraumi perché non sono, da soli, in grado di generare una sofferenza) si susseguono troppo da vicino perché l’organismo abbia il tempo di porre in essere contromisure adeguate, e l’alterazione tissutale aumenta nel tempo. L’ispezione chirurgica del tendine d’achille di un mezzofondista dell’atletica leggera che non si è gestito bene mostra il tessuto bucherellato, come una pietra pomice.

Ma oltre alla tecnica errata ci sono altri elementi che condizionano la salute del tendine. Alcuni altleti corrono (pessimamente) per anni, ad altri basta poco tempo per farsi male: qui le caratteristiche dell’individuo contano molto.

Un altro fattore predisponente è la capacità da parte dell’organismo di controllare le brusche ed altalenanti variazioni del pH corporeo dovute agli allenamenti in forte regime lattacido: minore è la capacità tampone dell’organismo, maggiore è l’azione infiammatoria e degenerativa sui tessuti, specie su quelli già danneggiati.

Infine, è stato visto che questa capacità dell’organismo è fortemente coadiuvata da un’alimentazione che non contribuisca ad abbassare il pH corporeo, cioè povera dei cosiddetti cibi acidi. Sia in caso di infiammazione che di grossi lavori lattacidi, un’alimentazione tendenzialmente basicizzante può essere d’aiuto.

Image courtesy tennisamarcordfreeweb.com

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