Siamo giunti davvero al termine della nostra piccola maratona vissuta intensamente tra il serio e l'ironico nell'attesa dell'ultima giornata di campionato. Vi ho esposto le mie preoccupazioni per l'eccessivo stato d'ansia in cui versano parecchi tifosi e ho cercato di raccontarvi cosa dicono gli esperti riguardo all'ansia nell'atleta e come imparare a gestirla grazie anche allo sport in TV. Con il racconto del dottor Andrea Vitali ho cercato anche di distrarvi, in modo che a poche ore dai calci d'inizio negli stadi, riusciste ad avere almeno una tregua. A questo punto, sarebbe lecito aspettarsi da parte mia la solita vecchia formula buona per tutti gli sport e tutte le stagioni "ma in fondo è solo un gioco". E invece no! Non ve lo dirò perché date le circostanze avrebbe lo stesso effetto che ha dire ad una persona in preda al panico "stai calma": vi farei agitare di più. Ma soprattutto non ci tengo a dirvelo perché non è solo un gioco. Non per tutti almeno. Per qualcuno è "il gioco" che può valere una vita diversa, migliore, per sé e per i propri cari. È il gioco di chi nella vita non ha avuto nulla e nulla ha da perdere. Il gioco di chi, correndo dietro quella palla, corre lontano dalla fame, dalla guerra, dalle calamità naturali e dalle malattie. Questo è il calcio per il sud del mondo. Liberia, Sud Africa, Colombia, Brasile, Thailandia, India. Sono i Paesi feriti in vario modo visitati da Peter Dench, fotografo inglese che in centinaia di scatti ha cercato di fermare l'attimo in cui il calcio torna ad essere quello che era per noi all'inizio: un occasione di riscatto e un'opportunità per vivere dopo tanta sofferenza. E allora ecco con quali parole Dench ha presentato le sue fotografie nel bellissimo articolo di Sportweek in edicola ieri 17 maggio con la Gazzetta della sport (altre immagini le trovate nel sito dell'Autore). "Nelle aree colpite dai disastri naturali, nelle zone di guerra, nelle periferie urbane degradate, il calcio tiene viva l'umanità. Riunisce le persone e genera orgoglio e fiducia in sé. Ha il potere di aiutare, di motivare, di dare speranze ai sogni, di rafforzare le nuove generazioni. Ci sono milioni di persone che giocano a calcio o che lavorano perche prosperi questo sport tutti reputano che questo gioco dia una dimensione positiva alle loro vite In Liberia ho visto ragazzi amputati a causa delle mine antiuomo usate nella lunga guerra civile, trasformarsi in calciatori con le stampelle e divenire esempio di coraggio e determinazione. In Senegal ho conosciuto una ragazza musulmana, Fatou Gaye che partendo da Dakar è diventata arbitro internazionale, tanto da partecipare al Mondiale femminile del 2007. In Indonesia Banda Aceh ho incontrato Martunis un ragazzino che al momento dello tsunami aveva indosso solo un pantaloncino e la maglia del Portogallo e che e diventato l'immagine del disastro in 3 anni il calcio lo ha aiutato a ricostruirsi la casa e la vita In Nepal il Sahara Club Football Academy ha salvato dalle strade centinaia di bambini e, grazie anche al calcio, ha ridato loro una chance. Dove esistono il calcio di base le accademie una scuola pare esistere ancora una speranza."
E questa speranza è anche il fulcro del progetto Football for hope nato dalla collaborazione tra FIFA e Streetfootballworld, un organizzazione internazionale che cerca di usare il calcio come strumento per affrontare le più grandi sfide sociali a livello mondiale nel campo dei diritti e dell'educazione dei bambini, dell'integrazione sociale contro la discriminazione, della promozione della salute e della pace tra i popoli, della salvaguardia ambientale.
Per tutti i tifosi italiani quella di oggi è una giornata di speranza. La mia speranza è invece quella che sappiate dare il giusto peso alla vostra.
L'immagine di questo post è una foto scattata in Liberia dove si è tornati a giocare liberamente dopo 14 anni di guerra civile ('89-‘03), che ha causato circa 300 mila sfollati su 3,2 milioni di abitanti e 184 mila orfani (dati Unicef).
