Diuretici: mortalità in pazienti con insufficienza cardiaca

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I diuretici sono farmaci che aiutano i reni a rimuovere dal corpo i liquidi in eccesso riducendo la pressione sanguigna, gli edemi e il carico eccessivo di liquidi si riducono.

Questo processo avviene grazie alla combinazione dell’acqua con il sodio: infatti quando le molecole di sodio si associano all’acqua, le prime vengono eliminate, portano con sé anche l’acqua. Ciò riduce il tasso di liquidi in eccesso nel sangue e nel corpo. L’insufficienza cardiaca causa spesso un sovraccarico di liquidi e, per questa ragione, le persone che ne soffrono vengono spesso curate con farmaci diuretici. Testimonianze recenti suggeriscono, però, che l’uso prolungato e aggressivo di tali farmaci in pazienti con insufficienza cardiaca può non essere prudente.

Con l’avanzare dell’insufficienza cardiaca, possono comparire altri sintomi legati al sovraccarico di liquidi. Questi possono entrare negli alveoli dei polmoni e ridurre la quantità di ossigeno in circolo nel sangue (una conseguenza immediata è la dispnea, conosciuta anche come respiro corto). I liquidi possono accumularsi nei polmoni quando un paziente si sdraia la notte creando problemi nella respirazione notturna e durante il sonno (ortopnea). In altri casi, possono addirittura svegliare improvvisamente il paziente alla ricerca di aria (dispnea parossistica notturna).

L’eccesso di liquidi può presentarsi anche negli arti inferiori e/o nell’addome. Un milione di persone sono ospedalizzate ogni anno negli Stati Uniti per insufficienza cardiaca. Di questi, il 90% ha sintomi legati al sovraccarico di liquidi.

Diuretici ed insufficienza cardiaca

Alcuni studi recenti hanno sollevato preoccupazioni riguardo all’uso dei diuretici in pazienti con insufficienza cardiaca, in particolare in quelli con sintomi legati all’eccesso di liquidi.

Uno studio è stato condotto dai medici dell’Università della California su 522 pazienti in condizioni critiche con insufficienza renale acuta da. I risultati hanno mostrato che l’uso di diuretici in questi pazienti è stato associato ad un aumento del rischio di mortalità.

Un altro studio su 1354 pazienti con insufficienza cardiaca avanzata, è stato portato avanti da un singolo centro medico universitario: questo ha evidenziato l’esistenza di un collegamento tra l’uso cronico (a lungo termine) di diuretici dell’ansa (un potente tipo di diuretici spesso usati per pazienti con insufficienza cardiaca) e l’aumento del rischio di mortalità.

Un terzo studio è stato condotto su pazienti con insufficienza cardiaca di 65 anni o più. L’esito ha posto a confronto un gruppo di 651 pazienti che prendono diuretici con 651 che non ne prendono: l’uso abituale di tali farmaci è associato ad un aumento significativo del rischio di ospedalizzazione e morte in un ampio numero di anziani con insufficienza cardiaca.

Diuretici ed insufficienza cardiaca e renale

Il legame tra l’uso di diuretici e il rischio di mortalità in pazienti con insufficienza cardiaca e con una grave forma di malattia ai reni – detta insufficienza renale – è stato studiato da ricercatori nell’Acute Decompensated Heart Failure National Registry (ADHERE).

L’ADHERE oltre a contenere una serie di dati su pazienti con insufficienza cardiaca a partire dal 2001, comprende 105 000 pazienti scompensati. Quest’ultima nello specifico èuna malattia in cui il cuore non riesce a mantenere una circolazione sanguigna adeguata.

Nell’analisi i pazienti sono stati divisi in due gruppi: quelli con e quelli senza insufficienza renale. Questo dato è stato misurato usando il test della creatinina sierica. Pazienti con livelli di creatinina pari o superiori a 2.0 milligrammi per decilitro presentano insufficienza renale: circa il 70% dei pazienti di entrambi i gruppi avevano ricevuto una terapia diuretica cronica.

Lo studio ha evidenziato che sia l’insufficienza renale che l’uso di diuretici sono associati ad un aumento del tasso di mortalità e del periodo di ospedalizzazione. I pazienti con insufficienza renale curati con diuretici presentano un tasso di mortalità pari al 7.8%; al contrario, i pazienti che non hanno preso tali medicinali hanno un tasso di mortalità del 5.5%. Allo stesso modo, i pazienti con funzioni renali normali curati con diuretici presentano un tasso di mortalità del 3.3%.

Per quelli che non ne hanno usati, invece, il tasso è del 2.7%.

I pazienti con le insufficienze renali più gravi nel registro ADHERE che hanno ricevuto trattamenti diuretici a lungo termine hanno mostrato il più alto tasso di mortalità. A qualsiasi livello di danneggiamento delle funzioni renali, i pazienti che avevano seguito un trattamento diuretico a lungo termine hanno presentato tassi di mortalità più elevati di quelli che non avevano seguito tale trattamento.

Inoltre, in media, i pazienti che hanno assunto diuretici a lungo termine hanno anche vissuto lunghi periodi di ospedalizzazione. La media è di 5.5 giorni per pazienti con livelli di creatinina bassi che non facevano uso cronico di diuretici. Per quelli con livelli alti che seguivano terapie croniche con diuretici, la media è di 6.9 giorni.

Conclusioni

I ricercatori che hanno condotto questo studio, hanno concluso che i diuretici dovrebbero essere usati con attenzione in pazienti con insufficienza cardiaca e renale.

Un’alternativa potrebbero essere le procedure non-farmacologiche relativamente nuove dette ultrafiltrazione. Queste consistono nel filtrare il sangue dei pazienti al di fuori del corpo per rimuovere i liquidi in eccesso.