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Negli ultimi anni, il termine epidemia ha assunto un significato più ampio, non limitandosi alle sole malattie contagiose.
Attualmente, si registra un aumento allarmante delle diagnosi di Parkinson, una patologia neurodegenerativa che colpisce un numero crescente di individui, anche al di sotto dei 50 anni. Secondo i dati forniti dalla Società Italiana di Neurologia, nei Paesi industrializzati l’incidenza di questa malattia è di circa 12 casi ogni 100.000 abitanti.
In Italia, circa 250.000 individui convivono con il Parkinson, una condizione la cui prevalenza aumenta tra i soggetti oltre i 60 anni.
Tuttavia, l’invecchiamento della popolazione non può spiegare completamente l’emergere di nuovi casi. Le proiezioni per il 2050 suggeriscono un raddoppio potenziale del numero globale di pazienti, attualmente attorno ai 12 milioni. Inoltre, si registra un incremento dei casi giovanili, che ha conseguenze significative sulla vita lavorativa e personale di coloro che ne sono affetti.
Affrontare adeguatamente questa malattia richiede il riconoscimento dei sintomi. La dottoressa Roberta Balestrino, esperta in neurologia presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, sottolinea che il parkinsonismo si manifesta con una lentezza nei movimenti e difficoltà nelle attività quotidiane.
Un sintomo comune è la bradicinesia, ma non tutti i pazienti presentano il classico tremore. Altri sintomi comprendono la rigidità muscolare, alterazioni nella postura e una riduzione dell’espressività facciale.
È fondamentale evidenziare che la malattia di Parkinson non si limita ai sintomi motori. Essa può essere accompagnata da disturbi non motori, come ansia, depressione e disturbi cognitivi, specialmente nelle fasi avanzate della malattia. La dottoressa Balestrino evidenzia che i disturbi del sonno REM, caratterizzati da sogni vividi, possono manifestarsi anche prima della comparsa dei sintomi motori, complicando così la diagnosi.
Tradizionalmente, la diagnosi di Parkinson si effettua raramente prima della quinta decade di vita. Tuttavia, negli ultimi anni, i neurologi hanno registrato un aumento delle diagnosi in fasce di età più giovani, suscitando preoccupazioni. Si sospetta che l’industrializzazione e l’esposizione a sostanze tossiche possano contribuire a questo fenomeno. Inoltre, la malattia colpisce gli uomini in misura maggiore rispetto alle donne, con un rapporto che può arrivare a 3:1.
Il fattore genetico riveste un’importanza fondamentale nello sviluppo della malattia di Parkinson. Sebbene meno del 10% dei casi sia attribuibile a cause genetiche dirette, alcune mutazioni in specifici geni possono aumentare il rischio di sviluppare questa patologia. Ricerche recenti hanno dimostrato che le diverse alterazioni genetiche possono influenzare non solo l’evoluzione della malattia, ma anche la risposta ai trattamenti.
La diagnosi di Parkinson è principalmente di natura clinica, poiché attualmente non esistono biomarcatori specifici.
Un elemento cruciale nella diagnosi è la risposta alla terapia con levodopa, un farmaco che simula l’azione della dopamina. Qualora un paziente non risponda a questo trattamento, ciò può suggerire un parkinsonismo atipico.
Recenti studi, come quelli pubblicati nella rivista Nature, hanno messo in luce la potenzialità della terapia cellulare per ripristinare la produzione di dopamina attraverso il trapianto di cellule staminali. Sebbene questa terapia si presenti come promettente, è ancora in fase di sperimentazione.
Attualmente, le terapie farmacologiche disponibili si dimostrano efficaci, ma richiedono la partecipazione attiva del paziente nel seguire le terapie e gli appuntamenti di controllo. Per i pazienti con malattia avanzata non controllata dai farmaci, sono disponibili anche opzioni come la stimolazione cerebrale profonda, un intervento chirurgico che prevede l’impianto di elettrodi per regolare l’attività cerebrale e migliorare i sintomi.
Esistono misure preventive in grado di ridurre il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson.
L’attività fisica regolare non solo migliora la qualità della vita, ma può anche rallentare il deterioramento cognitivo. La dottoressa Balestrino raccomanda pratiche come il nordic walking e il ballo, che favoriscono sia la socializzazione sia la neuroplasticità.
Inoltre, la dieta mediterranea e il consumo moderato di caffè sono stati associati a un rischio ridotto di sviluppare il Parkinson. Questi dati suggeriscono che scelte di vita salutari possano avere un impatto significativo sulla salute cerebrale.