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La ricerca biomedica in Italia è un settore cruciale, non solo per la salute pubblica, ma anche per l’economia del nostro Paese.
Con un investimento complessivo di 22 miliardi di euro in ricerca e sviluppo, solo 2,86 miliardi sono destinati specificamente alla biomedicina, corrispondente a un modesto 1,3% del PIL. Questo scenario, ricco di sfide e opportunità, è stato al centro del convegno ‘La ricerca traslazionale e clinica in Italia’, organizzato presso l’Istituto Superiore di Sanità, dove esperti del settore hanno discusso le problematiche attuali e le prospettive future. Ti sei mai chiesto come possiamo migliorare questa situazione?
In Italia, il finanziamento della ricerca biomedica si basa principalmente su risorse private, con solo il 39% proveniente da investimenti pubblici. Le aziende farmaceutiche, pur contribuendo in modo significativo, tendono a concentrare i loro sforzi su sperimentazioni cliniche piuttosto che su ricerca innovativa. Questo porta a una situazione paradossale: nonostante i 2.674 trials clinici avviati dall’inizio del 2022, le opportunità per la ricerca indipendente rimangono limitate. Ma come possiamo sbloccare questo potenziale?
Francesco Cognetti, presidente della Foce, ha messo in evidenza l’eccellenza italiana nel campo della ricerca medico-scientifica, ma ha anche richiamato l’attenzione su problemi strutturali che necessitano di un intervento urgente.
La scarsità di fondi e la mancanza di personale specializzato, come data manager e bioinformatici, ostacolano la capacità del Paese di innovare. Inoltre, i tempi di approvazione per le sperimentazioni cliniche si allungano, ritardando l’accesso alle nuove terapie. Non sarebbe opportuno riflettere su come migliorare questi processi?
La ricerca traslazionale in Italia, pur presentando enormi potenzialità, soffre di carenze in termini di venture capital e trasferimento tecnologico.
Sergio Abrignani, professore presso l’Università di Milano, ha evidenziato come le aziende farmaceutiche italiane siano spesso più concentrate sulla produzione di farmaci generici piuttosto che su innovazioni significative. Questo approccio limita le opportunità di sviluppo di nuovi trattamenti e riduce la competitività a livello internazionale. Ti sei mai chiesto come potrebbe cambiare il panorama se le aziende decidessero di investire in innovazione?
Un’altra questione critica è l’accesso precoce ai farmaci.
I pazienti italiani, in media, devono attendere oltre 500 giorni dall’approvazione dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) per accedere a nuove terapie. Questo ritardo, accentuato dalle specificità regionali, crea disuguaglianze significative nel sistema sanitario italiano. È evidente che è necessario un intervento per accelerare i processi di approvazione e garantire un accesso equo a tutti. Come possiamo lavorare insieme per risolvere queste disuguaglianze?
Per affrontare le sfide esistenti, è fondamentale sviluppare strategie che stimolino un investimento più significativo nella ricerca biomedica. Ciò potrebbe includere la creazione di incentivi per le aziende farmaceutiche a investire in ricerca e innovazione, oltre a politiche che favoriscano la collaborazione tra enti pubblici e privati. Un approccio integrato potrebbe portare a un incremento della ricerca indipendente e a una maggiore efficacia nelle sperimentazioni cliniche. Non credi che unire forze potrebbe portare a risultati sorprendenti?
Monitorare KPI chiave, come il numero di trials clinici avviati, il tempo medio di approvazione e il volume di investimenti nel venture capital, sarà essenziale per valutare i progressi e ottimizzare le strategie nel settore della ricerca biomedica.
Solo attraverso un’analisi rigorosa dei dati e una pianificazione strategica potremo garantire un futuro migliore per la ricerca e l’innovazione in Italia. E tu, sei pronto a contribuire a questo cambiamento?