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Negli ultimi anni, l’uso del linguaggio psicologico si è diffuso in modo esponenziale, specialmente nel contesto online.
Tuttavia, la disponibilità di termini clinici e diagnosi, spesso utilizzati in modo casuale, solleva questioni etiche significative. Non è tanto il fatto che si parli di psicologia, quanto piuttosto come questo avvenga a preoccupare.
Quando i termini clinici perdono il loro significato profondo e vengono ridotti a semplici etichette, non si sta solo semplificando, ma si svuota di contenuto l’intera esperienza psicologica. Ciò che rimane, in assenza di chiarezza, è solo confusione e disorientamento.
In Italia, il sistema non riconosce specializzazioni specifiche per singoli disturbi. L’unica qualifica legale per gli psicologi è quella di psicoterapeuta, ottenuta attraverso corsi quadriennali approvati dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Frasi come “specialista in ansia” o “esperto in disturbi alimentari” non corrispondono a titoli ufficiali, ma possono solo suggerire una certa esperienza clinica.
Quando queste espressioni non vengono accompagnate da spiegazioni chiare e oneste riguardo ai percorsi formativi e alle competenze reali, si crea un rischio di confusione per chi cerca aiuto.
Chi si rivolge a un professionista della salute mentale ha bisogno di orientamento, non di slogan accattivanti.
Un altro termine che ha subito una notevole banalizzazione è “narcisista”. Il Disturbo Narcisistico di Personalità non deve essere considerato una semplice etichetta per descrivere relazioni difficili o comportamenti problematici. Si tratta di una psicopatologia complessa e spesso gravosa, che richiede valutazioni cliniche approfondite e interventi terapeutici articolati.
Trasformare questo termine in un contenitore per spiegazioni superficiali significa ridurre la sofferenza a colpe o caricature, distorcendo così la realtà e contribuendo alla stigmatizzazione delle persone affette da tali disturbi.
Quando la diagnosi viene usata come una etichetta morale, si perde il suo scopo principale: quello di fornire una comprensione profonda della sofferenza. In questo modo, non si chiarisce, ma si complica ulteriormente la situazione per chi cerca supporto.
Ogni periodo storico sviluppa i propri meccanismi per affrontare l’angoscia. La nostra epoca sembra farlo riducendo la complessità psicologica a formule semplici e immediatamente riconoscibili.
Tuttavia, ciò che viene rimosso dal linguaggio tende a ritornare in forme più oscure e dolorose.
Quando il linguaggio clinico perde la sua ricchezza, non si tratta solo di una questione di precisione terminologica, ma di una perdita della funzione simbolica delle parole. Le parole non devono essere solo nominate, ma devono avere la capacità di far emergere e pensare la sofferenza.
La psicologia online può rappresentare una risorsa preziosa, facilitando l’accesso alla cura e abbassando le barriere.
Tuttavia, è fondamentale che i professionisti non si lascino andare a leggerezze nel loro linguaggio. Un termine usato in modo improprio può confondere, ferire e allontanare dalla cura.
Quando i termini clinici perdono il loro significato profondo e vengono ridotti a semplici etichette, non si sta solo semplificando, ma si svuota di contenuto l’intera esperienza psicologica. Ciò che rimane, in assenza di chiarezza, è solo confusione e disorientamento.0
Quando i termini clinici perdono il loro significato profondo e vengono ridotti a semplici etichette, non si sta solo semplificando, ma si svuota di contenuto l’intera esperienza psicologica.
Ciò che rimane, in assenza di chiarezza, è solo confusione e disorientamento.1