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Un crescente senso di disconnessione dal lavoro ha portato alla diffusione del fenomeno noto come quiet quitting, traducibile come “abbandono silenzioso”.
Questa condizione implica una riduzione dell’impegno lavorativo senza una vera e propria rinuncia al lavoro stesso.
Nelle attuali dinamiche professionali, il quiet quitting è un argomento di discussione sempre più rilevante. In Italia, il 14% della forza lavoro si identifica come quiet quitters, indicando un cambiamento nelle priorità e negli atteggiamenti verso il lavoro.
Il quiet quitting si riferisce a un distacco sia emotivo che psicologico dal lavoro.
Le persone che vivono questa condizione tendono a svolgere solo le attività necessarie per mantenere il posto, senza investire ulteriore energia. Secondo Laura Mondino, esperta in risorse umane, questo comportamento emerge quando i lavoratori si sentono frustrati, privi di riconoscimento o sopraffatti da carichi di lavoro eccessivi.
Le motivazioni alla base del quiet quitting sono molteplici. Molti dipendenti si sentono insoddisfatti delle proprie mansioni, mentre altri non percepiscono prospettive di crescita nella carriera.
Anche la mancanza di un adeguato compenso e il desiderio di un equilibrio tra vita privata e professionale possono contribuire a questa condizione.
Per comprendere l’origine del quiet quitting, è utile analizzare il concetto di hustle culture, una mentalità che celebra il lavoro incessante come chiave per il successo. Personaggi pubblici, come Elon Musk, hanno esemplificato questa visione, promuovendo l’idea che il superlavoro sia l’unico modo per raggiungere grandi traguardi.
Ciò ha generato una pressione sociale per rendere ogni dipendente un “over-worker”.
I social media hanno amplificato questa cultura, creando un ambiente in cui le persone si sentono obbligate a dimostrare la loro produttività. Tuttavia, questa situazione può portare a forte stress e a una conseguente fuga emotiva dal lavoro.
Per i leader aziendali, riconoscere i segnali del quiet quitting è cruciale. Tra i segnali più evidenti vi è una diminuzione dell’entusiasmo e della partecipazione attiva durante le riunioni.
I lavoratori potrebbero mostrare un calo nella qualità del loro operato e un aumento dell’assenteismo, indicatori di malessere.
Le organizzazioni devono affrontare il quiet quitting come un’opportunità per migliorare la cultura aziendale. È fondamentale interrogarsi sulle cause di questo fenomeno, chiedendosi se i dipendenti si sentano apprezzati e valorizzati. Creare un ambiente di lavoro sano può portare a un aumento dell’engagement e a una riduzione del distacco emotivo.
Se si percepiscono segni di quiet quitting, è essenziale dedicare tempo al proprio benessere. Riconoscere le proprie emozioni è il primo passo per trasformare la frustrazione in azioni positive. È utile esplorare ciò che non soddisfa più e identificare le proprie aspirazioni professionali.
È importante non confondere il quiet quitting con la ricerca di un sano equilibrio tra vita lavorativa e personale.
Mentre il primo rappresenta una risposta alla pressione lavorativa, il secondo implica una gestione consapevole del proprio tempo e delle proprie energie. La chiave per il successo consiste nel capire cosa rende felici e come valorizzare le proprie passioni e talenti.