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Negli ultimi tempi, il tema dei dazi statunitensi sui farmaci ha acceso un dibattito animato, non solo per le sue implicazioni economiche, ma anche per le strategie industriali che ne derivano.
Con percentuali che potrebbero toccare addirittura il 200%, le conseguenze sono potenzialmente devastanti per l’industria farmaceutica europea. Questo argomento si intreccia con l’obiettivo di rilocalizzazione delle industrie negli Stati Uniti, un aspetto già emerso durante la presidenza Biden e ora ripreso con vigore dall’amministrazione Trump. La vicepresidente di Confindustria, Lucia Aleotti, ha sollevato preoccupazioni significative riguardo a queste politiche, evidenziando il rischio di un’ulteriore erosione della competitività europea.
Ma cosa significa realmente la questione dei dazi sui farmaci? Non si tratta solo di tariffe, ma si colloca in un contesto molto più ampio legato agli obiettivi strategici degli Stati Uniti. L’amministrazione Biden ha adottato approcci meno aggressivi rispetto a quelli attuali di Trump, ma entrambi condividono una visione chiara: la necessità di riportare le industrie sul suolo americano. Questo fenomeno di rilocalizzazione è amplificato dalla crescente insoddisfazione europea per politiche industriali che, negli ultimi dieci anni, sono sembrate più punitive che attrattive.
Tasse elevate sul settore farmaceutico e tagli alla proprietà intellettuale sono solo alcune delle criticità che hanno portato a questa situazione.
In questo quadro, l’Europa si trova a dover negoziare condizioni più favorevoli, ma deve anche confrontarsi con una realtà in cui le aziende potrebbero essere costrette a trasferirsi negli Stati Uniti, il mercato più attrattivo a livello globale. Lucia Aleotti ha messo in evidenza il rischio che le politiche europee non siano sufficienti per trattenere le aziende; al contrario, potrebbero spingerle a cercare opportunità altrove.
È essenziale che l’Europa riveda il proprio approccio, passando da una logica di imposizioni a una di attrazione. Ma come può farlo?
Il settore farmaceutico è uno dei più colpiti da queste dinamiche. Le aziende europee rischiano di trovarsi nell’impossibilità di competere in un mercato dove le regole cambiano rapidamente. Un esempio recente è l’introduzione di una direttiva che impone una tassa alle aziende farmaceutiche per ogni paziente che utilizza un farmaco, a causa dell’inquinamento dei metaboliti nelle acque.
Sebbene questa politica possa sembrare giustificabile dal punto di vista ambientale, i costi stimati di circa 12 miliardi di euro rappresentano un onere enorme che le aziende devono affrontare.
Inoltre, l’idea che le aziende debbano accumulare scorte di farmaci critici per affrontare emergenze future si scontra con la realtà di una produzione industriale già sotto pressione. Le politiche europee, invece di incentivare l’innovazione e la competitività, sembrano favorire un ambiente sfavorevole per le imprese.
È cruciale che l’Europa non solo negozi i dazi con gli Stati Uniti, ma avvii anche un dialogo interno su come definire il proprio ruolo nel mercato globale. Non può essere vista solo come un’area di scambio, ma deve trasformarsi in una solida base industriale.
Per affrontare queste sfide, aziende e policymaker europei devono collaborare per sviluppare strategie che non solo mitighino gli effetti dei dazi, ma promuovano anche una crescita a lungo termine.
Un approccio integrato potrebbe includere investimenti in ricerca e sviluppo, incentivi fiscali per le aziende che decidono di restare in Europa e politiche di sostenibilità ambientale che possano fornire vantaggi competitivi. Creando un ecosistema più favorevole all’innovazione, l’Europa può attrarre talenti e capitali, riducendo così la necessità di rilocalizzare le industrie.
In questo scenario complesso, i KPI da monitorare non riguardano solo le performance economiche, come il ROAS e il CTR, ma anche metriche relative alla sostenibilità e all’innovazione.
La capacità di adattarsi a queste nuove dinamiche sarà cruciale per la sopravvivenza delle industrie europee nel mercato globale. Solo con una visione chiara e strategie mirate, l’Europa potrà affrontare le sfide poste dalla rilocalizzazione e dai dazi americani, emergendo come un attore competitivo e sostenibile nel panorama internazionale.