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Recenti indagini condotte dall’Istituto di Ricerca Altamedica hanno messo in evidenza un aspetto poco conosciuto della translucenza nucale (TN) e la sua potenziale relazione con il disturbo dello spettro autistico (DSA).
Pubblicato sulla rivista Brain and Behavior, lo studio rivela che un aumento significativo della translucenza nucale potrebbe indicare non solo anomalie genetiche, ma anche problematiche legate all’immunità materna, in particolare per quanto riguarda la carenza di folati.
La translucenza nucale è definita come lo spessore del liquido presente dietro la nuca del feto, misurata durante il primo trimestre di gravidanza. Tradizionalmente, questo parametro è utilizzato per identificare potenziali sindromi genetiche, come la sindrome di Down.
Tuttavia, la ricerca ha mostrato che un valore elevato di TN, in assenza di anomalie genetiche evidenti, potrebbe rappresentare un segnale di allerta per altre problematiche.
Lo studio ha analizzato un campione di 3.600 ecografie effettuate nel primo trimestre, concentrandosi su 27 feti con un marcato aumento della translucenza nucale. Dopo aver escluso 16 casi con anomalie cromosomiche o genetiche già note, i ricercatori si sono concentrati su 11 feti i cui risultati genetici erano negativi, ma con un TN significativamente elevato.
Per approfondire la situazione, i ricercatori hanno misurato la presenza di autoanticorpi anti-recettore alfa del folato nelle madri. Questi autoanticorpi sono noti per interferire con l’assorbimento della vitamina B9, fondamentale per lo sviluppo cerebrale. Dei 11 casi analizzati, 4 madri sono risultate positive per gli autoanticorpi. Sorprendentemente, tutti e 4 i bambini hanno ricevuto una diagnosi di DSA tra i 2 e i 3 anni.
Al contrario, tra le 7 madri negative per gli autoanticorpi, solo 1 bambino (il 14,3%) ha sviluppato autismo.
I risultati di questo studio suggeriscono un possibile nesso tra un aumento significativo della translucenza nucale, l’assenza di anomalie genetiche e la presenza di autoanticorpi materni, portando a una diagnosi successiva di autismo. Claudio Giorlandino, direttore scientifico dell’Istituto di Ricerca Altamedica, sottolinea che questi dati offrono una nuova prospettiva.
Non si tratta più solo di identificare un potenziale rischio genetico, ma di considerare anche i fattori immunitari che possono influenzare lo sviluppo del feto.
Giorlandino afferma che, in presenza di translucenza nucale marcata e con test genetici negativi, il dosaggio degli autoanticorpi potrebbe diventare un esame fondamentale da integrare con le diagnosi prenatali. L’identificazione tempestiva di questi autoanticorpi potrebbe consentire interventi precoci e mirati, aprendo la strada a una nuova era nella prevenzione dei disturbi dello spettro autistico.
Studi precedenti, sempre condotti dai medesimi autori e pubblicati su Clinical and Translational Neuroscience, hanno suggerito che una profilassi con acido folinico, una forma attiva di folato, potrebbe proteggere lo sviluppo cerebrale del feto. Questa ipotesi è attualmente oggetto di verifica attraverso ampi studi clinici controllati, con l’obiettivo di confermare l’efficacia di tali interventi nella riduzione del rischio di autismo.