Si può morire di cuore infranto?

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Ciò che è successo a un’anziana di nome Dorothy Lee non è stato così strano.

Nel 2010, The Wall Street Journal raccontò di come, dopo aver scoperto che suo marito di 40 anni era morto improvvisamente in un incidente d’auto, Lee iniziò ad avvertire dei dolori al petto che ricordavano quelli di un imminente infarto. Fu come se il suo corpo si stesse ribellando a quella perdita inaspettata.

Quando muore un consorte di lunga data non è così raro che problemi di salute potenzialmente fatali possano colpire il partner subito dopo, o che delle condizioni croniche possano peggiorare gravemente.

Delle conferme aneddotiche sono proprio quelle coppie di mariti e mogli che muoiono inspiegabilmente a poche settimane, o addirittura giorni di distanza e degli studi empirici hanno provato tale fenomeno.

Alcuni studi separati che hanno coinvolto migliaia di coppie in Scozia e in Israele sono giunti alla conclusione che il rischio di morte fra vedove e vedovi aumenta vertiginosamente dal 30% al 50% nei primi sei mesi dopo la dipartita dei loro cari.

Dopo quel periodo iniziale di lutto, il rischio statistico di morte diminuisce.

Questo tipo di estrema connessione fra corpo e mente sembra essere più comune quando la morte del partner è inaspettata – come nel caso del marito di Dorothy Lee – e il partner che sopravvive non è ben preparato a tirare avanti da solo. Nel 1966, uno studio di 158.000 coppie finlandesi ha rilevato che il più alto tasso di frequenza di aumento della mortalità, o morte statisticamente imprevista è correlato alla morte accidentale e improvvisa di un partner.

I medici hanno spiegato questo fenomeno con problemi di salute cronici, gli psicologi con la depressione da lutto e i lavoratori con un deficit nei sistemi di sostegno. I romantici, intanto, potrebbero riassumere il tutto come l’effetto collaterale di un cuore infranto e, in alcuni casi, potrebbero non avere tutti i torti.

Almeno questo è ciò che successe a Dorothy Lee il giorno in cui morì suo marito. Si scoprì che i suoi dolori al petto non erano dovuti alle arterie ostruite, bensì a una sindrome chiamata cardiomiopatia tako-tsubo, o sindrome del cuore infranto.