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La violenza di genere rappresenta un fenomeno complesso e devastante, con ripercussioni significative sulla salute fisica e psicologica delle donne. Non tutte le vittime reagiscono attivamente di fronte a una minaccia: in particolare, molte donne possono manifestare un blocco comportamentale, rimanendo immobili o incapaci di rispondere. Questo articolo si propone di esplorare le basi neurobiologiche di questa reazione, analizzando il ruolo del sistema nervoso autonomo, dei circuiti limbici e dei meccanismi di difesa adattivi. Inoltre, si evidenzieranno le implicazioni cliniche e psicologiche per un intervento terapeutico efficace.
Le reazioni alla minaccia: oltre il combattimento e la fuga
Le risposte a una situazione di pericolo sono spesso descritte attraverso il modello delle tre “F”: fight (combatti), flight (fuggi) e freeze (blocco). Mentre le prime due reazioni sono più facilmente riconoscibili e socialmente accettate, il blocco è una risposta altrettanto comune, ma spesso fraintesa come passività o mancanza di coraggio.
Il ruolo del sistema nervoso autonomo
Il sistema nervoso autonomo regola le risposte automatiche del corpo in situazioni di stress. Quando ci si trova di fronte a una minaccia, l’organismo attiva due sistemi principali: il sistema simpatico, che prepara il corpo a combattere o fuggire, e il sistema parasimpatico, che può indurre una risposta di blocco. Questa risposta, purtroppo, può essere fraintesa e stigmatizzata, portando le vittime a sentirsi inadeguate o colpevoli.
Il meccanismo del blocco: una strategia di sopravvivenza
Dal punto di vista evolutivo, la reazione di blocco può aumentare le probabilità di sopravvivenza in situazioni di pericolo estremo. Questo è evidente anche nel mondo animale, dove molte specie sviluppano comportamenti di immobilità come strategia di difesa. In questo contesto, il sistema limbico, e in particolare l’amigdala, gioca un ruolo cruciale nell’identificare e reagire a situazioni di minaccia.
Implicazioni della risposta di freeze
Nelle situazioni di violenza domestica o sessuale, l’attivazione dell’amigdala può diventare cronica, portando il cervello a percepire la minaccia come inevitabile. Questo processo può contribuire a fenomeni di dissociazione e a una sensazione di distacco dal corpo. La memoria dell’evento traumatico viene spesso elaborata come memoria implicita, rendendo difficile per la vittima spiegare il proprio comportamento di blocco sia a sé stessa che agli altri.
Supporto terapeutico e superamento del blocco
Comprendere il meccanismo del blocco non è solo un esercizio teorico; è fondamentale per realizzare interventi terapeutici efficaci. È importante sottolineare che il blocco non è un segno di debolezza, ma una risposta neurobiologicamente adattiva a una minaccia percepita come estrema. Riconoscere queste dinamiche può contribuire a ridurre lo stigma e la colpevolizzazione delle vittime, facilitando l’accesso a risorse terapeutiche e di supporto.
Studi clinici suggeriscono che tecniche come la regolazione vagale e la respirazione guidata possono aiutare a ripristinare il senso di controllo e a diminuire i sintomi di ansia e dissociazione. È essenziale fornire un ambiente sicuro e accogliente, dove le donne possano esprimere liberamente le proprie emozioni e lavorare verso il recupero della sicurezza, dell’autonomia e del benessere psicofisico.



