Perché indossare la mascherina aumenta i sintomi della claustrofobia?

Con l'obbligo della mascherina molte persone affette da claustrofobia lamentano l'aumento dei sintomi a livelli invalidanti, vediamo perché

La claustrofobia è la paura irrazionale dei luoghi chiusi e angusti e il terrore per oggetti o situazioni che creano senso di oppressione e mancanza di libertà di movimento. Una patologia che in misura diversa riguarda milioni di persone nel mondo.

Ciò che il claustrofobico teme è che, nell’ambiente chiuso, non ci sia aria a sufficienza e che quindi possa sopraggiungere la morte per soffocamento. In alcuni casi le persone affette da claustrofobia temono anche che le pareti della stanza possano stringersi fino a schiacciarle.

Questo tipo di fobia è tra le più diffuse nella popolazione e, in alcuni casi, il livello di gravità è tale da interferire significativamente con il normale svolgimento delle attività quotidiane.

Nelle sue forme più gravi la claustrofobia infatti si estende a situazioni che vanno al di là del luogo chiuso, come ad esempio soggetti che non sopportano nemmeno di indossare una camicia con il colletto abbottonato.

Claustrofobia e mascherina: perchè aumentano i sintomi

La recente emergenza sanitaria da COVID 19 ha reso obbligatorio o consigliato l’uso dei DPI (mascherine) nella maggior parte degli ambienti al chiuso o all’aperto.

Ciò che molte persone affette da claustrofobia lamentano, a causa di questi obblighi, è più o meno unanime: da una recente indagine emerge infatti che la mascherina crea loro un forte senso di disagio, ansia e oppressione che spesso sfocia in attacchi di panico associati a dispnea, tachicardia e vertigini.

Tutti sintomi e condizioni che impediscono il corretto svolgimento delle azioni quotidiane diventando, di fatto, invalidanti.

Uno studio condotto sull’utilizzo della mascherina in condizioni respiratorie patologiche, mette in evidenza come il sintomo di dispnea (sensazione di soffocamento) sia da mettere in correlazione a reazioni neurologiche:

“Il disagio provato con la mascherina chirurgica è stato associato a reazioni neurologiche, come l’aumento di impulsi che arrivano dall’area altamente termosensibile del viso coperta dalla mascherina oppure dall’aumento della temperatura dell’aria inspirata. Oppure può essere legato a manifestazioni psicologiche, come ansia, claustrofobia o risposte emozionali alla percezione di una difficoltà nel respirare”.

– Michael Campos, coautore dello studio

Questo quindi confermerebbe il fatto che l’utilizzo costante della mascherina incide notevolmente sull’aumento dei sintomi associati alla claustrofobia.

Quello che può dare fastidio, soprattutto se la mascherina è stretta, è la percezione di una riduzione dell’aria respirata, soprattutto quando facciamo una salita o le scale o quando pratichiamo sport.

In questo caso, qualora la distanza interpersonale lo consenta, possiamo rimuovere la mascherina.

Alcuni soggetti affetti da disturbi di ansia mostrano un disturbo d’ansia “respiratorio”, caratterizzato da un’attività respiratoria intensa durante un attacco di panico che è probabilmente legata ad un falso allarme di soffocamento proveniente dal sistema nervoso centrale.

La risposta abituale all’insorgenza di un attacco di panico o di una reazione claustrofobica è una risposta simpaticomimetica provocata dal rilascio di neurotrasmettitori come l’adrenalina. Tale rilascio causa un aumento dell’attività metabolica che si manifesta con un’elevata frequenza cardiaca e respiratoria, palpitazioni, pressione sanguigna elevata, ecc.

Una sensazione di calore associata a questi eventi può essere dovuta a:

  • all’aumento dello sforzo respiratorio dovuto ad una maggiore resistenza respiratoria percepita del dispositivo;
  • oppure all’aumento della sudorazione del viso dovuto allo stress psicologico che potrebbe aumentare la temperatura di quella zona.

Una delle strategie che può essere messa in atto per alleviare questi disturbi causato dalla mascherina è il raffreddamento del viso, che risulta essere una delle più efficaci, insieme ad una attenta programmazione di pause di recupero e reidratazione.

Scritto da Alexandra Tubaro

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