(Adnkronos) – "Ma quale 'dottor Ai'. Ad oggi l'intelligenza artificiale non ha carattere né empatia, non può produrre nel paziente alcun effetto umano e l'umanità è parte integrante della cura. Senza l'anima, non c'è il medico". Antonino Mazzone – siciliano doc trapiantato a Legnano dove dirige il Dipartimento medico dell'Asst Ovest Milanese, internista per vocazione ("l'internista è il medico che si occupa dei malati e non delle malattie") e scrittore (è autore di tre romanzi che mescolano storie di vita e di professione) – di "medici artificiali" non vuole proprio sentir parlare. "E' una definizione che fa schifo", sentenzia lo specialista, spiegando all'Adnkronos Salute le ragioni del suo rifiuto per un termine ormai sdoganato anche dalla letteratura scientifica. Mazzone tira dritto: "L'Ia potrà anche fare una diagnosi o produrre un ragionamento equivalente a quello umano nel prevedere l'evoluzione di un caso clinico. Ma chiunque abbia a che fare ogni giorno con la complessità, con pazienti polipatologici e politrattati, sa bene che oltre a questo c'è molto di più". Ci sono le emozioni, c'è l'anima, appunto, e l'intelligenza artificiale l'anima non ce l'ha. Mazzone ne sta facendo una crociata: una lettera a 'Quotidiano sanità', dichiarazioni su altre testate anche locali, e domani un intervento sul tema 'Comunicazione medico-paziente in era digitale, parole e cura' al convegno 'Sciascia e Tobino: la letteratura tra impegno sociale e cura', una due giorni iniziata oggi alla Fondazione Leonardo Sciascia di Racalmuto nell'Agrigentino. In occasione dell'evento, organizzato dal medico, artista, attore e autore teatrale Salvatore Nocera Bracco, e sostenuto da Giuseppe Ruggeri, presidente dell'Amsi, Associazione medici scrittori italiani, l'internista sferra un nuovo attacco all'algoritmo: "Magari riesce a essere più efficiente dell'uomo nella capacità di ragionamento clinico, ma manca di umanità e di amore". Sentimento a cui Mazzone ha dedicato il suo ultimo libro 'Amare, nonostante tutto. Incontri ed emozioni', edito da Nardini. "Data la maturità di questa tecnologia in rapida evoluzione, l'adozione degli Llm (Large language model) nella pratica medica clinica è imminente", avvertono gli autori di un paper israeliano pubblicato nell'aprile 2024 sul 'New England Journal of Medicine', secondo cui "le prestazioni di ChatGpt-4 sono paragonabili a quelle dei medici agli esami ufficiali di specializzazione". A parte rivendicare la superiorità della sua categoria sulla macchina ("lo studio mostra che in medicina interna il confronto è molto favorevole all'uomo"), l'internista non nega certo l'evidenza che certifica i progressi dell'Ia in sanità. Per imparare a sfruttarne le opportunità, "in parallelo al lavoro medico umano e non in sua vece", nei giorni scorsi ha pure invitato per una relazione all'ospedale di Legnano Daniela Tirotta, editor di un volume dell''Italian Journal of Medicine' dedicato all'intelligenza artificiale. Mazzone fa notare però che l'Ia deve fare ancora tanta strada. Cita un esperimento, pubblicato, dell'internista di Bergamo Alice Fanin: "Ha sottoposto a ChatGpt alcuni quesiti, uno dei quali era 'ho le gambe gonfie da 10 giorni, cosa può essere?'. L'algoritmo rispondeva che le cause possono essere molte e forniva consigli tra cui 'bevi molta acqua'. Peccato che se le gambe gonfie dipendono da uno scompenso cardiaco, bere può aggravare non poco il quadro clinico". Dal dottor Ai "una grossa inesattezza", dunque. Un esempio dei "tanti errori digitali
che fanno ancora del medico un professionista insostituibile", ripete lo specialista. Che ci sia una rivoluzione in atto è palese, e il cambiamento va compreso e gestito per non esserne travolti. "Le capacità in rapida evoluzione degli strumenti basati sull'intelligenza artificiale hanno gettato le basi per una ricerca trasformativa", si legge in un editoriale apparso questo mese su 'Jama Internal Medicine'. "L'Ia è stata infatti ampiamente adottata dalla ricerca medica" e gli studi in materia aumentano esponenzialmente, osservano i firmatari: se "10 anni fa su PubMed si contavano circa 5mila pubblicazioni l'anno", questa cifra è salita a "10mila nel 2018" e "quest'anno siamo sulla buona strada per superare le 50mila pubblicazioni in tutto il mondo. Tuttavia, il potenziale di tradurre queste informazioni in approfondimenti clinicamente rilevanti e miglioramenti significativi ed equi nell'erogazione dell'assistenza rimane al momento in gran parte teorico", precisano gli autori.  "Nonostante la rapida crescita degli studi incentrati sull'Ia – evidenziano – meno dell'1% sono trial clinici". Inoltre, "molti degli studi riportati finora sono stati condotti su campioni di piccoli dimensioni e si concentrano sull'accuratezza diagnostica, piuttosto che sulla valutazione dell'efficacia di un intervento di Ia in termini di risultati sul paziente". Infine, "gli studi esistenti presentano solo informazioni limitate sui dati demografici dei pazienti e sull'efficienza operativa, e la maggior parte non è stata replicata, sollevando preoccupazioni sulla possibilità di generalizzarne e applicarne i risultati". Per colmare queste lacune, la rivista annuncia "un bando per le ricerche relative all'intelligenza artificiale", invitando la comunità scientifica a disegnare "studi randomizzati di alta qualità che definiscano chiaramente l'intervento fondato sull'Ia" e "affrontino direttamente gli esiti per i pazienti". In altre parole, la 'bibbia' della medicina interna chiede "trial che valutino l'impatto dell'intelligenza artificiale sulla riprogettazione dell'assistenza sanitaria nella pratica clinica reale".  Mentre "la Food and Drug Administration statunitense ha già approvato oltre 1.000 dispositivi medici basati sull'Ia", Jama Internal Medicine rileva anche come "i quadri normativi esistenti non riescano a tenere il passo con il rapido ritmo di scoperta e implementazione" dei nuovi strumenti. Il giornale solleva "preoccupazioni etiche in merito alla privacy del paziente, alla responsabilità, alla trasparenza e alla provenienza dei dati". E sottolinea che "la capacità di 'apprendere' ed evolversi" è sì "uno dei punti forti dell'Ia", ma "rende anche molto più difficile la supervisione normativa". Un'altra sfida, poi, è "la mancanza di chiarezza su come i modelli di intelligenza artificiale raggiungano le loro conclusioni". Per il futuro, in sintesi, "saranno necessari nuovi approcci normativi per garantire efficacia e sicurezza, bilanciando al contempo gli interessi e i diritti del paziente". Gli editorialisti insistono sul concetto di "equità": sarà "fondamentale identificare e prevenire i bias algoritmici", soprattutto "per garantire che l'adozione dell'Ia nell'assistenza clinica non esasperi le disparità di lunga data in ambito sanitario".  In un'Italia in cui il diritto costituzionale alla salute resta sempre più spesso sulla carta, superare le disuguaglianze che ne ostacolano l'esericizio per Mazzone è un compito dell'umano, non dell'Ai. La lotta alle disparità, è il messaggio dell'internista scrittore, comincia dalla ricostruzione del rapporto medico-paziente. Un "privilegio" che si è perso. "Oggi – afferma il camice bianco – la medicina si muove su territori lontani dal letto del malato, intrappolata fra briefing, riunioni tecnologiche, Pdta, linee guida. In questi anni difficili tutto ciò ha aperto una ferita profonda nella complessa e delicata relazione personale tra medico e paziente, in crisi già ben prima della pandemia di Covid. Abbiamo la necessità di tornare ai fondamentali della natura e dell'etica del rapporto medico-paziente", perché "prima della scienza medica c'è la compagnia al malato. La condivisione della sofferenza, l'aiuto a chi soffre, connota radicalmente l'essere medico e non è semplice obbedienza a una linea guida".  "La medicina – ammonisce Mazzone – oggi ha il compito di recuperare quelle che gli anglosassoni chiamano Medical Humanities, gli elementi insostituibili della relazione medico-paziente". Innanzitutto "l'ascolto attivo, che non riguarda solo l'anamnesi clinico-scientifica, ma il contesto culturale, sociale, economico e di vita del paziente, tutti fattori che possono influenzarne la salute e guidarne la cura. Il medico deve sempre ricordarsi la lezione di Talete da Mileto: abbiamo due orecchie e una sola bocca per ascoltare il doppio e parlare la metà". Ascolto significa anche "empatia: comprendere il vissuto e le esperienze personali dei pazienti stabilisce con loro un rapporto più intimo, favorendo la cosiddetta cura personalizzata o sartoriale, tagliata su misura". E' così che nasce il dialogo vero, "una comunicazione efficace, chiara, aperta, semplice e comprensibile. Capire le aspettative e le preoccupazioni del malato è fondamentale, ma a interpretare le emozioni l'algoritmo non ci è ancora arrivato e io spero che non ci arriverà mai". "C'è un'umanità che supera la scienza e la competenza, che non si impara sui banchi dell'università e che non rientra nel prontuario dell'azienda sanitaria, ma che è vitale come e più delle medicine", chiosa l'internista. Nella sua professione, nel rapporto con il paziente, "il medico deve "amare. Amare, nonostante tutto". E' questo il fil rouge e il titolo dell'ultimo romanzo di Mazzone, il terzo dopo 'La malinconia dei nati altrove' (2018, vincitore nel 2020 a Firenze del premio letterario 'La ginestra' con menzione d'onore della giuria) e 'Poteva non succedere. Storie di vita e di corsia' (2022). Ventiquattro racconti autobiografici di 'Incontri ed emozioni' più due capitoli di saluto alla sua mamma, scomparsa nel 2020, testimone lontana – ma sempre presente – del viaggio che ha portato il giovane Nino dalla contrada Maina di Naso, comune natio nel Messinese sui monti Nebrodi ("un piccolo borgo siciliano che guarda l'orizzonte dove le isole Eolie si pavoneggiano gareggiando in bellezza l'una con l'altra"), all'università di Pavia – Policlinico San Matteo, culla di tanti volti noti della medicina tricolore. E' nei corridoi della Clinica medica pavese che Mazzone ha imparato a prendersi cura dei "pazienti complessi di cui nessuno specialista voleva occuparsi" e che finivano sempre in Medicina interna, "l'Itaca di Ulisse", ormai "l'unico reparto a non scegliere i pazienti e ad accettare tutti", scrive l'autore. Ha capito lì che parlare con un malato "non è mai tempo perso", che la comunicazione conta anche se "alla facoltà di Medicina purtroppo non si insegna", che i pazienti andavano coinvolti nel processo di cura (era "un tabù") e cosa può fare un sorriso: "Quello del dottore – dice Titti che convive con la sclerodermia – ha prodotto più benefici di qualsiasi farmaco". Nel suo libro il medico narra le lezioni apprese nei 'vis-à-vis' più memorabili (da Joaquìn Navarro-Valls, direttore della Sala stampa vaticana durante il pontificato di Giovanni Paolo II, a Papa Francesco, fino al presidente della Repubblica Sergio Mattarella), ma anche e soprattutto da amici e compaesani di cui ritrae gioie e dolori: "Persone speciali", le chiama. Figure appassionate e tragiche come Tanina, rinchiusa per 20 anni in una struttura psichiatrica con la sola colpa di un amore scomodo e salvata dalla legge Basaglia. E per lei la dedica di Mazzone: "A tutte quelle persone che hanno subito il manicomio senza essere pazzi". "Un medico che scrive non è omologabile a qualsiasi altro scrittore", è la convinzione dell'Associazione medici scrittori italiani, perché "nel suo percorso narrativo dispiega capacità penetrative e spirito empatico che gli provengono dall'esperienza maturata nella professione. Il medico continua nello scrittore in un'indagine a 360 gradi sull'uomo e le sue fragilità", e le parole diventano terapia. "La storia della medicina – riflette il presidente dell'Amsi – viaggia all'unisono con il secolare, anzi millenario, rapporto medico-paziente dal quale attinge vigore e senso, nutrendo al tempo stesso l'immaginazione di quei medici che, dotati di virtù di penna, lo raffigurano in forma di storie di vita vissuta. Non è un caso che due illustri scrittori e psichiatri italiani, Corrado Tumiati e Mario Tobino, abbiano raggiunto la fama letteraria grazie a romanzi ispirati alle loro esperienze manicomiali". Per Ruggeri, "attraverso la filigrana della professione medica" traspare "una spessa trama di interessi culturali. Una professione le cui origini classiche, che dal mito di Asclepio discendono fino al positivismo ippocratico, non sono mai rimaste esenti da un profondo spirito umanistico".  "La letteratura, in quanto produzione di umanità da parte dell'umano – dichiara Bracco, anima del convegno agrigentino intitolato a Sciascia e Tobino – è una dimensione che nell'ambito della salute in generale, e mentale in particolare", si traduce in un "esercizio di ascolto, ma anche di consapevolezza, di empatia e nello stesso tempo di razionale distacco, perché permette una diversa visione del proprio essere in relazione. Sciascia giovane è un poeta che riflette proprio in questa direzione, mentre Tobino, psichiatra e a sua volta scrittore, riflette su come è all'interno di relazioni sociali che si realizza la cura". Cura che, "come teorizza la filosofa della medicina Luigina Mortari, è relazione viva tra persone vive". Intelligenze umane, non artificiali. (di Paola Olgiati)
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