Il doping – Una possibile storia dell'umanità

di Gianfranco Di Mare

Performance Engineer
 

Questo non è un post a favore del doping.
Questo non è un post contro il doping.
Questo post non descrive un desiderio o un’aspettativa, ma va alla radice storica e culturale della nostra vita.

Le testimonianze che abbiamo sono molto antiche; risalgono ai sumeri, la prima civiltà nota sul nostro pianeta. E sono incontrovertibili: ogni volta che un essere umano ha individuato una sostanza, un mezzo, una tecnica in grado di aumentare le sue percezioni, la sua possibilità di lavoro, i suoi risultati, il suo piacere, vi ha fatto ricorso sistematicamente.

La millenaria tradizione della masticazione delle foglie di coca è un esempio tipico della ricerca del benessere e di una aumentata capacità di lavoro in condizioni spesso estremamente disagiate. In certe culture una cocada è una misura di spazio: la distanza che percorri con una foglia di coca (in una quarantina di minuti).

Fino al secolo XIX non c’è stata praticamente sostanza di cui non si siano testate eventuali capacità psicoattive o energetiche: qualsiasi parte di animale, minerale o vegetale è stata seccata, trattata, conservata, mescolata, bollita, fumata, mangiata, bevuta, spalmata, inalata.
L’aspetto straordinario di questa ricerca incessante è che certe sostanze manifestano un effetto significativo solo se trattate in un certo modo (ad esempio prelevate in certe condizioni o momenti specifici, e solo se giunte ad un certo grado di qualità/maturità; poi elaborate tramite altre sostanze, o seccate per un certo numero di giorni e ad una certa temperatura; quindi assunte solo in un determinato modo… ecc.): spesso, se si fa diversamente, non c’è effetto! Pensate a quanto sistematica ed instancabile sia stata questa ricerca.

Quelle belle pipe lunghe e snelle che si vedono nei quadri del centro Europa tra il ‘500 ed il ‘600 davano la possibilità di fumare qualsiasi cosa; ogni uomo aveva la sua, quando andava nei boschi. E, certo, nel fornello del kalumet degli amerindi non bruciava del Virginia Bright.

La diffusione del tabacco, da pipa prima e da sigaretta poi, ha avuto principalmente il significato culturale e sociale di limitare l’utilizzo di sostanze psicotrope.

Moltissimi funghi catalogati come tossici sono, in effetti, psicoattivi (quando trattati opportunamente): poi tutto dipende dalle dosi e dalla lavorazione. Anche una sostanza psicoattiva in eccesso – o preparata male – può essere mortale: non fate esperimenti.
Le prime sistematizzazioni delle specie fungine si debbono alla Chiesa, e nel tempo si sono perdute molte conoscenze chimiche e botaniche attorno ai funghi.

Il desiderio di alterare la propria percezione/prestazione continua anche oggi, seppure nei limiti della censura sociale, ad esempio con il fumo, il caffè e l’alcol. Si obbietterà che una normale sigaretta non offre azioni psicotrope interessanti… È vero; ma guardate al modo in cui il fumo viene vissuto da molti con una sorta di dipendenza, o di soddisfazione di desideri e piaceri più complessi del semplice passatempo o della degustazione (tantopiù che il tabacco da sigaretta non ha, oggi, alcuna buona qualità in termini di gusto e di degustazione).
Per quanto riguarda il caffè, va ricordato che ancora nel ‘700 una dose di bevanda corrispondeva a circa dieci delle nostre tazzine di oggi, almeno in termini di principio attivo. Anche questo cambiamento nel dosaggio è segno dei tempi che cambiavano.

Sigaretta, caffè ed alcol sono i residui archeologici – addomesticati e resi quasi inoffensivi in termini di potenza – della nostra voglia di trascendere, antica quanto la nostra stessa specie.
Quando fumerete o berrete, la prossima volta, godetevi il brivido della nostra Storia arcaica che fa capolino, e riflettete sul senso del vostro rito.

Restate in campana, continuiamo domani.

Image courtesy francescachiolerio.it

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