Io speriamo che me lo tengo. La faccia brutta della 194 e quella bella della scuola

Ovvero, avere (o non avere) un figlio a trent'anni dall'entrata in vigore della Legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza.

Non abbiamo ancora finito di celebrare l'anniversario per il trentennale della Legge 180 che subito ci troviamo tra le mani un'altra ricorrenza importante che ha cambiato il corso della storia influendo sulla vita politica, sociale, medica e anche economica dell'Italia. Gli aspetti in comune tra Legge 180 e 194 non si limitano a questo e lo vedremo nei post successivi, ma se per la Legge sulla chiusura dei manicomi ci si divide tra entusiasti che in questo momento stanno solo festeggiando e scettici che approfittano per ricordare che siamo ben lontani dall'aver raggiunto i risultati sperati, per quella sull'aborto gli schieramenti sono di più e più agguerriti.

Riguardo ad esempio alle ipotesi di revisione c'è chi sostiene che "serve una legge per vietare l'aborto dopo la ventesima settimana di gravidanza" (Rocco Buttiglione mutuando il pensiero di Carlo Casini del Movimento per la vita, c'è chi vorrebbe puntare di più alla prevenzione pur considerandola "una grande Legge capace di coniugare con efficacia l'esigenza di stroncare con l'aborto clandestino con quella di promuovere una maternità consapevole e responsabile" (l'ex ministro della Salute Livia Turco), chi si accoda sostenendo che "è giusto impegnarsi per attuare la parte finora non realizzata della legge 194, ma sarebbe un errore chiedere una revisione di una legge in quanto tale perché il suo testo è equilibrato e serio" Fabrizio Cicchitto, presidente del gruppo parlamentare del Pdl alla Camera) e c'è pure chi si piglia fischi e uova per aver detto magari in maniera un po' troppo brutale o forse per essere stato il primo ad accendere la miccia sull'argomento (Giuliano Ferrara). Insomma alla fine sembra prevalere il "Giù le mani dalla Legge 194".

Non voglio entrare più di tanto nel merito delle discussioni anche perché il discorso è parecchio complicato e per spiegare i pro e i contro di questa Legge ci vorrebbero un centinaio di post. Preferisco affrontare l'argomento alla maniera di Arte e Salute – a cui spero vi siate abituati – lasciando parlare i miei artisti. Per "festeggiare" i trent'anni della 194, il QN ieri ha pubblicato un articolo di Marcello D'Orta, autore del bellissimo libro Io speriamo che me la cavo, che va un po' controcorrente rispetto alla tendenza generale dei mezzi di informazione i quali a mio parere preferiscono tacere sugli aspetti negativi di una Legge che per partito preso sta a cuore alle donne, limitandosi al massimo a riportare le parole dette da altri senza realmente assumersi le responsabilità delle proprie affermazioni. Ma come si sa, ambasciator non porta pena e quindi soprassediamo. Le virgolette alla parola festeggiare sono infatti d'obbligo visto che il nostro maestro approfitta del suo spazio per ricordarci citando Conan Doyle che "un'eccezione conferma la falsità della regola". Vi sto incuriosendo vero? Lo confesso: anche io volevo vedere dove andava a parare dopo quella frase buttata lì prima dell'incipit, il quale a dire il vero è ancora più misterioso visto che racconta di quella sua piccola abitudine di fare la questua per potersi permettere i lussi da ragazzino che altrimenti gli sarebbero stati negati.

Ma che centra la confessione di questo peccato di gioventù, che "tutto sommato non rubava niente a nessuno, salvo – parole sue – la fiducia dei suoi genitori"? Centra, centra, perché, pur ammettendo di non sapere se i ragazzi di oggi fanno l'elemosina per godere dei suoi stessi divertimenti quando marinano la scuola, il maestro D'Orta sostiene che sicuramente la fanno anche loro e sicuramente non per beneficienza come non capitava a quelli della sua generazione. Ma ogni regola – e qui si svela il nostro mistero – ha la sua eccezione che ne dimostra la falsità e così anche quella sull'abitudine alla questua tra i ragazzi ha la sua. Un eccezione per la verità ignorata dai media, sempre attenti al lato oscuro della scuola (bullismo, dispersione, filmati hard, violenza tra alunni e professori, …) e indifferenti alle buone notizie perché si sa che, "siccome la Terra è una valle di lacrime, è naturale, anzi d'obbligo, piangere".

La buona notizia è che una ragazza di 17 rimasta incinta e con ogni probabilità destinata ad abortire non essendo in grado di sostenere economicamente il nascituro, si è vista venire incontro proprio i suoi coetanei, studenti del liceo Valdarno di Torino, i quali, saputo il fatto hanno promosso una colletta tra compagni di scuola per "adottare a distanza" il nascituro. La risposta è stata pronta ed efficace e infatti ora una quota di quanto raccolto sarà versata puntualmente alla giovane fino a quando non potrà provvedere coi propri mezzi. Ma anche la risposta della giovane è stata pronta ed efficace: "ha accettato l'aiuto e ha rinunciato al terribile proposito".

"Questa iniziativa così meritevole è stata promossa aderendo al Progetto Gemma, un programma per l'adozione a distanza di madri tentate di sopprimere una vita in grembo" come ha sottolineato Marcello D'Orta ricordando che "si chiama gemma perché una donna in attesa nasconde nel ventre (e nel cuore) il gioiello più prezioso: una creatura".

Morale della favola? Il diavolo (la scuola) non è sempre così brutto come lo si dipinge. Una Legge forse sì, se stiamo qui dopo trent'anni a discutere ancora se sia buona oppure no, snocciolando numeri abbastanza discutibili senza chiederci  com'è possibile che una madre si veda costretta suo malgrado a rinunciare a suo figlio perché non se lo può permettere. E il discorso si potrebbe allargare. Nel caso dell'aborto si tratta dell'evenienza più terribile di dover rinunciare a un bimbo già in essere, ma ci sono tanti altri casi di madri e padri – il loro ruolo, a mio parere, è e resterà sempre al 50 per cento e non il contrario come credono gli inglesi – che arrivano al punto di rinunciare al figlio che pure vorrebbero perché non se lo possono permettere.

Possibile che nel XXI secolo avere un figlio sia un privilegio per ricchi, dove ai forzati dell'aborto si affiancano gli screanzati che spendono 12 milioni di euro per partorire (neanche mantenere a vita) 2 gemelli, vedi la coppia Angelina Jolie – Brad Pitt? Perché nessuno mi dice quanti bambini a distanza si manterrebbero (stavolta sì) con tutti quei soldi? Questi sono i numeri che vorrei.

Ma nessuno li dà, forse perché sarebbe troppo scandaloso anche per le nostre Tv, dire quanti figli poveri valgono due ricchi. Voglio augurarmi che il confronto non si faccia solo perché fa talmente schifo che ci si vergognerebbe e non perché la si considera una notizia bella e quindi non meritevole secondo la perversa logica corrente di essere resa pubblica.

Gli spunti per lasciarmi commenti li avete:
il bello e il brutto della scuolacambiare o meno la legge 194figli per ricchi e figli di poveri, dove "per" e "di" non sono un errore né messi a caso (chi vuole intendere intenda)
Del confronto tra 180 e 194 riparleremo invece prossimamente.

Le immagini sono tratte dal film di Jason Reithman Juno, che affronta proprio il tema della gravidanza in un'adolescente costretta a dover fare una scelta difficile anche per un adulto senza esserlo.

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