Strage di Erba: tra innocenza e pazzia c’è chi ha già pagato

"Ribadisco la nostra innocenza. Esprimo il nostro più sincero dispiacere per le persone che sono morte, per i familiari e per le persone che gli vogliono bene". Così Olindo Romano, accusato insieme alla moglie Rosa Bazzi della strage di Erba, si difende in aula e ribadisce di non essere il colpevole del quadruplice omicidio dell'11 dicembre 2006.

E sul dispiacere per le vittime (le persone che sono morte, i familiari e tutti quelli gli hanno voluto bene) e sull'innocenza puntano anche gli avvocati della difesa … o, in alternativa, sull'infermità mentale.

Innocenti, ma se colpevoli pazzi. Sarebbero da cacciare dai tribunali solo per averla pensata una simile alternativa. Purtroppo è usanza comune: gli avvocati di oggi non si reputano più soddisfatti se riescono a far ottenere il minimo della pena previsto per un certo reato ai loro clienti. Adesso puntano all'assoluzione con formula piena o, in alternativa, all'infermità mentale. Qui di folle c'è solo l'alternativa e chi la sostiene e le vittime!

Sembra che di colpevoli non ce ne siano più: o sei innocente o sei pazzo. In compenso le vittime si moltiplicano a dismisura e non solo perché questo sistema perverso lascia fuori dal carcere più colpevoli di quelli che riesce a mettere dentro aprendo la strada a ulteriori nuovi reati, ma anche perché a pagare ci sono pure i malati mentali (quelli veri purtroppo) e le loro famiglie.
Questa tendenza ad associare continuamente i reati alla malattia mentale all'interno dei tribunali reali e mediatici non fa altro che rafforzare la paura dei malati veri e lo stigma sociale che ne deriva.

La violenza vera o presunta dei pazienti psichiatrici è infatti una dei motivi principali per cui la società di oggi ancora fa fatica ad accettarli. Dalle indagini che sono state compiute per verificare la dimensione dello stigma riguardo alla malattia mentale e ai pazienti che ne sono affetti è emersa come costante una preoccupazione per l'imprevedibilità e l'incontrollabilità di queste persone. In realtà la pericolosità dei malati psichici era più la motivazione che si dava per rinchiuderli in manicomio quando ancora non li si sapeva curare. Oggi la psichiatria non ha più una funzione meramente contenitiva e coercitiva: le cure esistono e sono sempre più efficaci. I pazienti possono e devono vivere una vita il più possibile normale. Ma questo pregiudizio non è solo un retaggio del passato: l'associazione violenza-malattia mentale deriva anche dal modo con cui la società attuale cerca di motivare se non giustificare i delitti più efferati e l'esplosione di violenza che non riesce in alcun modo a contenere. Nei tribunali le difese invocano la perizia psichiatrica come una panacea, nelle trasmissioni televisive criminologi ed esperti di salute mentale vengono chiamati quotidianamente a commentare sanguinosi fatti di cronaca, e gli psichiatri sono talmente impegnati tra corti e talk show che c'è da chiedersi dove trovino il tempo per curare i malati veri perché il concetto di fondo sembra essere quello che chi uccide un bambino non può che essere spinto dalla follia, chi si accanisce sui più deboli è solo uno psicopatico da rinchiudere in ospedale. Ma non tutti i pazienti psichiatrici sono violenti e non tutti i violenti sono malati.

Violenza e malattia mentale. Sono stati fatti diversi studi epidemiologici per mettere in relazione disturbi psichici gravi e comportamenti violenti. Uno dei più famosi, il NIMH's Epidemiologic Catchment Area (ECA) Study, ha riscontrato una prevalenza di violenza tra soggetti affetti da una malattia mentale nel corso di una vita del 16 per cento circa, contro il 7 per cento degli individui considerati sani.

Tuttavia verificare quanto sia forte il legame tra psicopatologia e attitudine a comportamenti violenti non è così semplice e non ci sono molti dati come questi. I pochi disponibili poi sono spesso viziati da parecchi pregiudizi e vizi metodologici. Inoltre, poiché rispetto al totale della popolazione, le malattie mentali gravi sono molto rare, il contributo agli eventi violenti fornito da coloro che sono affetti da questi disturbi è di circa il 3-5 per cento, molto più basso del contributo di coloro chefanno uso di sostanze stupefacenti, per esempio.

In pratica le probabilità che un paziente psichiatrico commetta un crimine sono di molto inferiori a quelle di chi fa uso di sostanze tra cui anche il comune alcol. Non è, dunque, giustificato l' "allarme" violenza nei pazienti psichiatrici che viene diffuso nella popolazione anche attraverso i processi per crimini violenti che diventano di dominio pubblico come quelli di Erba, Cogne o Novi Ligure.

Abusare della diagnosi psichiatrica come si fa in questi casi è solo la soluzione più comoda, ma non giova a nessuno. Non fa bene ai più sensibili che sono indotti a temere il raptus omicida del vicino o del parente chiuso e introverso, né ai colpevoli perché non gli permette di iniziare un giusto percorso di recupero e quindi alla società in generale perché non sarà mai obbligata a guardarsi dentro e a rimediare ai propri errori. Ma soprattutto non fa bene ai pazienti che si trovano così ad essere isolati dalla società e nell'impossibilità di cercare e ricevere aiuto.

Nel caso di Erba, la Corte sembra aver già chiuso la questione: la perizia sui due imputati c'è stata ed è stata lunga e approfondita, ma non sono emersi elementi tali per considerarli folli e quindi non imputabili. Non c'è vizio di mente in Olindo e Rosa, né parziale né totale. Quindi o sono colpevoli o sono innocenti. Fuori da queste due alternative non c'è salvezza, così  come non ce n'è stata per le cinque vite umane perse in una sera fredda di tempo e di cuore.

Questa sera la Corte uscirà dalla camera di consiglio con il verdetto: innocenti o colpevoli. Ma per questo reato c'è già chi ha pagato.

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