Una vita sulle ali della libertà grazie a William Wharton

Lo scrittore statunitense William Wharton , nome d'arte del pittore Albert du Aime, è morto nella sua casa di Encinitas, in California, all'età di 82 anni. La scomparsa, annunciata dal figlio Matt du Aime, è stata provocata da un'infezione contratta mentre si trovava ricoverato in un ospedale di San Diego per uno scompenso cardiaco provocato da problemi di pressione sanguigna.

Con questo scarno comunicato, l'AdnKronos ha annunciato ieri la scomparsa di un artista del pennello scopertosi tardi anche grande scrittore. Albert du Aime, aveva infatti, 53 anni quando scrisse il suo primo romanzo firmandolo, chissà perché, col nome d'arte di William Wharton.

Era il 1979 e quel libro si intitolava "Birdy, le ali della libertà". Fu un successo che gli valse il prestigioso premio letterario americano National Book Award e la finale per il premio Pulitzer. Così come fu un successo la trasposizione cinematografica diretta dal regista Alan Parker e interpretata da due splendidi, ancorché giovanissimi, Nicolas Cage e Matthew Modine (qui il trailer).

Ma "Birdy" mi ha cambiato e salvato la vita, ed ora io sono qui a ringraziare l'Autore per averlo scritto."Birdy", narra la storia di un reduce della seconda Guerra mondiale (Cage), che nel pieno della convalescenza per le numerose ferite,viene chiamato presso un ospedale psichiatrico militare dove da tempo è ricoverato il suo amico di infanzia e compagno di guerra, Birdy (Modine), soprannominato così per la sua passione per il volo e i volatili. Anche "Birdy" porta su di sé i segni degli orrori della guerra. A causa di un grave trauma psichico si rifiuta, infatti, di parlare con chiunque. La diagnosi è pesante quanto il trauma: schizofrenia! Una parola che allora suonava come una condanna alla contenzione in un ospedale psichiatrico fino alla morte. Lontano dagli altri e privati della libertà. In gabbia come gli uccellini che lui liberava da ragazzo insieme all'amico. Il medico però non si arrende al silenzio di Birdy, vuole capire, e forse, a suo modo, vuole liberare quell'uccellino in trappola. Ed è qui che entra in gioco l'amico di infanzia, l'unico che potrebbe avere la chiave. Nella versione cinematografica la storia è spostata dal conflitto mondiale alla guerra del Vietnam, probabilmente per fare più presa sul pubblico, ma "Birdy" non ne ha bisogno. La storia è stupenda e tutti possono identificarvisi perché ognuno di noi può dire di aver provato almeno una volta nella vita quella sensazione di essere "uccellino in gabbia". Magari anche una gabbia dorata e protettiva, ma sempre qualcosa da cui voler fuggire.

"Nella storia di "Birdy" c'è anche un po' di autobiografia di William Wharton" scrive oggi La Stampa. Lo scrittore, infatti, fu ferito durante la seconda guerra mondiale e quando era adolescente amava catturare i canarini, ma – come ha raccontato – "dei 250 volatili da lui "imprigionati" neppure uno fu ucciso". Anche la malattia mentale non era qualcosa di ignoto per lui, considerato che si laureò in psicologia all'Università della California. Poi si trasferì a Parigi dove per un certo tempo visse in maniera bohemien in case-battello ormeggiate lungo la Senna dipingendo.

Era un apprezzato pittore impressionista che firmava i suoi quadri con il vero nome di Albert du Aime. Ma il successo insperato del primo romanzo lo travolsero a tal punto che decise di mettere da parte i pennelli per diventare scrittore a tempo pieno. Da allora ha scritto una dozzina di romanzi tutti o quasi con qualche riferimento autobiografico. Oltre a "Birdy", tra i suoi fortunati romanzi figurano "Dad – Papà" (1981), che racconta la storia di un pittore di mezza età residente in Francia, e "Schiarita a mezzanotte. Vicino alla fine" (1982), commovente racconto ambientato durante la Seconda guerra mondiale che mette in scena soldati americani e tedeschi che provano "a fare pace" usando un albero di Natale, un pupazzo di neve e uno spaventapasseri, entrambi diventati film come il primo.

Nel 1985 pubblicò "Orgoglio", una storia allegorica ambientata nell'era della Grande Depressione dopo il crollo di Wall Street del 1929. Un romanzo su un periodo storico che a detta di molti sta tornando tristemente attuale.

L'ultimo romanzo pubblicato, "Last lovers" (Brilliance Corporation, 2008), è ambientato invece in tempi cronologicamente più vicini a noi, 1975, ma sempre a Parigi, dove un 49enne americano con alle spalle una carriera aziendale e un matrimonio travagliato, viene travolto da un'anziana donna cieca mentre dipinge in un parco.

La vostra blogger deve molto a du Aime-Wharton. Di sicuro le scelte di carriera, ma più probabilmente la vita stessa. Il film "Birdy" e ancor di più il libro letto in seguito, sono stati per me una folgorazione attraverso cui ho capito in un sol colpo quanto il dolore dall'animo umano prenda spesso le vie più inaspettate per essere comunicato e quali forme avesse preso in me. Tutti come dicevo si sentono o si sono sentiti in gabbia ed io non sono da meno. È un'esperienza dolorosa che puoi anche cercare di nascondere o negare nel tentativo di soffrire di meno. Ma è difficile non vedere le sbarre considerando che e l'occhio cade sempre lì, su quella porticina chiusa. "Ti protegge" dicono. In realtà ti soffoca, e per quanto ti sforzi di non lamentarti, di non sembrare ingrata verso che quella gabbia te l'ha messa a disposizione "per il tuo bene", l'urlo di dolore non lo puoi cacciare indietro per sempre. Alla fine esce. Magari attraverso il corpo, ma esce! Sempre!
La storia raccontata da du Aime-Wharton mi ha fatto capire quanto straordinaria è la mente umana dopo che Konrad Lorenz mi aveva permesso di apprezzare il fatto che quell'insieme enorme ma finito di neuroni dà origine a un'infinita gamma di comportamenti possibili e assurdi all'apparenza, ma assolutamente decifrabili possedendo il giusto codice "linguistico", l'anello di Re Salomone che consentiva a chi lo possedeva di parlare con gli animali.

Il cervello umano è ancora più complesso di quello animale e proprio per questo ancora più misterioso e affascinante nelle sue strategie di comunicazione. Non comunicare non si può, e il rischio è solo quello di non capire gli altri e noi stessi quando comunichiamo se non abbiamo il nostro anello di Re Salomone. Ma tutti in ogni istante della nostra vita comunichiamo qualcosa a qualcuno, fosse anche soltanto al nostro Io che vive lontano dalle ferite più profonde dell'anima.

Ecco perché devo ringraziare du Aime-Wharton se amo le neuroscienze, l'ipnosi ericksoniana, il mondo dell'arte come forma di comunicazione e dei media in generale, ma soprattutto se ho iniziato a cercare il codice per decodificare il dolore non permettendo a quel grido di soffocarmi.

La ricerca dei codici per decifrare il meraviglioso linguaggio della mente mia e altrui non è ancora finita, ma almeno ho una ragione per alzarmi ogni giorno e volare via, sulle ali della libertà!

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