Intervista a Joel Retornaz, skip della Nazionale Italiana Maschile di curling – II

di Gianfranco Di Mare

Performance Engineer
 

Seconda parte dell’intervista a Joel Retornaz. Il capitano della nostra nazionale maschile di curling ci parla della preparazione della squadra al torneo olimpico, delle difficoltà del suo ruolo, del valore internazionale della nostra rappresentativa e dei consigli per chi vuole iniziarsi a questa disciplina.

Ricordiamo che su questo forum sono stati pubblicati altri due articoli sul curling: Il Boom del Curling e La Preparazione per il Curling.

Joel, come si diventa skip della Nazionale?

Io già a 14 anni ero nella Nazionale junior, e siamo andati a fare i challenge europei per qualificarci ai mondiali. Lì ho iniziato e giocavo da lead [il giocatore che lancia per primo, NdA]. L’anno dopo lo skip [il capitano] era fuori quota, ed hanno inserito nel ruolo un altro giocatore che però non andava troppo bene: l’unica persona che è stato deciso potesse prendere il suo posto ero io, quindi il secondo anno di Nazionale ero skip. Da quel momento non ho mai smesso di essere skip, per cinque anni consecutivi nella Nazionale junior. Da due anni a questa parte faccio parte della Nazionale senior, di cui sono skip dall’inizio di questa stagione.

Quali sono le qualità necessarie per diventare un grande skip?
Una persona troppo emotiva non potrà mai fare da skip: bisogna avere freddezza, capacità di gestire le emozioni, capacità di prendere decisioni anche veloci… io, oggi, quando gioco, con la testa sono già tre-quattro tiri avanti. È come negli scacchi. Io dico sempre che il tiro che l’avversario fa è perché sono io che glielo impongo, col mio tiro. Certo, poi se sbagli tiro tutto cade… ma il concetto dev’essere quello. Se le tattiche son buone, la squadra che ha le percentuali migliori vince la partita.

Qual è stata la preparazione per queste Olimpiadi?
Durante tutto l’inverno ho abitato a Lucerna, dove risiedono i nostri due coach (uno svizzero, l’altro canadese). Abbiamo fatto almeno 5-6 ore di ghiaccio ogni giorno, divise in 2-3 sessioni. Poi tre giorni a settimana (a volte quattro) facevamo preparazione fisica in palestra, e attività aerobica (corsa, bicicletta, cyclette…).
D’estate, quando non abbiamo ghiaccio, lavoriamo comunque per la forma fisica.
Durante le competizioni, invece, il lavoro atletico cala molto: abbiamo un dispendio elevatissimo soprattutto dal punto di vista mentale, che in allenamento non hai perché sei sereno mentalmente. Una competizione internazionale stanca moltissimo, non puoi far altro che le partite: un giorno sì ed uno no giochi due partite al giorno, sono sei ore minime effettive di gioco.
A Torino giocavamo la prima partita alle nove, e avevamo la sveglia alle 5.30: perché mezz’ora prima della gara hai la “prova sassi” sul ghiaccio, e minimo due ore e mezza prima di entrare sul ghiaccio dobbiamo essere svegli, per lasciare al corpo il tempo di entrare pienamente in funzione. Poi fai quello che vuoi, leggi un libro, guardi la TV…
L’ora prima dell’entrata sul ghiaccio l’abbiamo dedicata al riscaldamento (giochiamo a calcio), poi dieci/quindici minuti di stretching, dieci/quindici minuti di preparazione mentale individuale, ed altri dieci/quindici minuti per parlare della partita coi coach. La partita vera e propria dura anche tre ore, tre ore e mezza. Se poi nella stessa giornata devi fare un’altra partita capisci che il programma diventa davvero intenso, non c’è praticamente il tempo per lavorare sulla forma fisica e comunque lo stress mentale è davvero molto, molto elevato. Magari nel giorno di riposo puoi fare un po’ di corsa leggera.

Quali rapporti si creano in una squadra tra skip e giocatori?
La squadra quest’anno ha lavorato davvero bene. C’è stata grande collaborazione tra me e gli altri, basata innanzitutto sulla fiducia: se non c’è fiducia tra i giocatori in uno sport in cui la squadra conta tanto, come nel nostro, non vai avanti. Se io ho la possibilità di chiamare un tiro di difficoltà 3 o 9, e mi viene di pensare di chiamare il 3 perché ho paura che il mio compagno non riesca a realizzarlo, entri in un ragionamento da perdente. Io chiamo sempre il tiro più difficile, perché dà effetti maggiori e, soprattutto, perché son convinto che il mio giocatore riesca a farlo. Quindi la fiducia è certamente alla base di tutto. Per quanto riguarda me, quest’anno c’è stata fiducia reciproca con la squadra: e questa fiducia è stata la nostra forza.

…E quando i rapporti umani non sono buoni, si può egualmente giocar bene?
Be’, noi non siamo professionisti, ma quasi. Quando stai in campo deve uscire la squadra, non l’individuo. Quando sono in campo non vedo nei miei compagni gli amici con cui la sera prima ho preso una birra assieme, ma il mio n° 1, il mio n° 2… che in quel momento danno un valore aggiunto alla mia squadra. Sono come persone diverse, capisci?
Io credo di poter avere un buon rendimento sul campo anche se non c’è un rapporto perfetto con un altro giocatore. Mi sento di giocar bene comunque, perché trovo anche delle motivazioni personali. Ho avuto dei problemi, in passato, in una squadra che non mi accettava completamente: ma ho giocato comunque molto bene, perché trovavo la tranquillità mentale dentro di me. Per gli altri non so come sia esattamente, non sono argomenti di cui si parla tanto.

Consigli per iniziare una pratica seria?
Penso che la preparazione fisica, se vuoi andare avanti, ci dev’essere: gambe e articolazioni, soprattutto nella scivolata, sono molto sollecitate: noi assumiamo una posizione particolare, e asimmetrica, che può provocare scompensi se non coadiuvata da una buona preparazione: tanto stretching, tanto lavoro muscolare, soprattutto per gli arti inferiori. Gli addominali, poi, fanno da collegamento tra arti inferiori e parte superiore, e permettono anche di avere una postura adeguata a passare ore ed ore in piedi. Non dimentichiamo, poi, che stai sempre su una superficie ghiacciata: rispetto ad un pavimento solido lo sforzo aumenta, serve più controllo e si fa più fatica, anche nervosa.

Quali prospettive ha aperto alla nostra Nazionale la buona prestazione olimpica torinese? È stata solo una bella parentesi dovuta alla partecipazione come paese organizzatore?
Guarda, sicuramente eravamo lì perché eravamo paese ospitante, ma ci mancava solo mezzo punto per avere l’ammissione di diritto: eravamo molto vicini. Comunque non demeritavamo di esser lì: negli ultimi anni il livello delle nostre prestazioni è diventato molto alto.
Il curling italiano, nel suo complesso, sta facendo passi da gigante, lo dimostra anche il fatto che abbiamo vinto ad esempio tornei molto importanti in Svizzera (la mecca del curling del sud Europa), battendo anche lì – come a Torino – la squadra tedesca. Agli europei, poi, avevamo mancato di un soffio la finale… Insomma, i risultati stanno arrivando. Quindi Torino secondo me non è un’eccezione né una parentesi. Anche se i risultati che abbiamo ottenuto sino ad ora non sono noti alla gente, perché del curling in Italia non si parla…
Poi sai, le squadre internazionali sono sempre quelle, ci si incontra sempre… e succede anche che vinciamo noi; a Lucerna  nei quarti abbiamo battuto anche la squadra scozzese, che ci ha invece battuti nella prima partita a Torino… Insomma ci stiamo facendo largo, ed ora non siamo più considerati una squadra materasso: nessuno può più prenderci sottogamba.

Qual è la tua analisi dei risultati altalenanti ottenuti dall’Italia nel torneo olimpico? Se avessimo battuto anche le squadre ritenute più alla nostra portata…
 È vero: a Torino abbiamo giocato meglio contro le squadre più forti. Credo sia perché contro un avversario fortissimo sei più rilassato, come suol dirsi “non hai niente da perdere”: quando sai che devi portare a casa la partita sei un po’ più teso, mentre quando giochi tranquillo è tutta un’altra cosa…

Grazie, Joel, del tempo che ci hai concesso. Ti auguriamo, secondo i tuoi desideri, di essere uno degli artefici non solo di risultati sempre migliori per la nostra squadra, ma anche della promozione di questo sport che ami tanto.

Grazie a voi, ciao.

Domani Wellness & Performance pubblicherà un’intervista a Renato Negro, tecnico e divulgatore, la voce TV che ha spiegato il curling a tutti gli italiani durante il torneo olimpico. Per capire meglio come funziona il curling in Italia, e che prospettive esistono per la diffusione di questo sport.

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