Mangiare bene, in pratica – III

di Gianfranco Di Mare

Performance Engineer

Se chiediamo a diverse persone cosa significhi mangiar bene, ciascuno darà naturalmente una propria interpretazione. Quacuno si concentrerà sul piacere della tavola, altri sottolineeranno l’aspetto salutistico; chi parlerà di cibi biologici, e chi dell’importanza delle verdure. Molti citeranno il ruolo fondamentale della frutta, o del latte…

Vorrei provare a dare una definizione mia. Da un punto di vista strategico mangiare bene significa almeno quattro cose:
scegliere di volta in volta quei cibi dotati delle qualità più utili per il nostro momento; ridurre la frequenza dei cibi che in quel particolare momento possono risultare faticosi da metabolizzare o che hanno qualità che in quel momento non ci servono o possono crearci problemi; non creare contrasti “di principio” e opposizioni rigide tra la soddisfazione del buon cibo e l’utilità metabolica di scegliere certi cibi; vivere il piacere profondo del mangiare, la consapevolezza che mangiare è un’atto così antico, così connaturato alla nostra esistenza, che è capace di scatenare di per sé sensazioni intense e del tutto… legittime; …
Un concetto molto diffuso, e che vorrei contribuire a smontare, è che un’alimentazione “salutare” (qualunque cosa significhi) vuol dire riso in bianco, verdure cotte senz’olio e pesce ai ferri.

Che esista nella nosta cultura un diffuso senso di colpa legato ai cosiddetti “piaceri della tavola” non c’è dubbio. Non c’è dubbio anche sul fatto che questo senso di colpa può essere indifferentemente vissuto con un atteggiamento di colpevolezza (“eh, lo so che non dovrei…”, “poi lo so che domani mi vengono i brufoli”, “eh, e questi sono altri due etti di ciccia… vabbe’, che dobbiamo fare…”) oppure con l’atteggiamento dell'”indifferenza” (“a me non m’importa niente…”, “se non ci godiamo almeno queste cose cosa ci resta?!”, “e vabbe’, quando me ne andrò me ne andrò…”).

Insomma, la sensazione diffusa è che o ce ne freghiamo o ci roviniamo… ma comunque i nodi verranno al pettine, prima o poi. Sfugge forse a molti l’idea che si possa maturare una percezione del mangiare in cui la consapevolezza e la ricerca del gusto si inseguono giocosamente, e creano un equilibrio spontaneo rafforzandosi a vicenda.

Restate collegati, continuiamo nel prossimo post

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