Nuove conferme per l’utilità dell’Arteterapia

L'arteterapia funziona  bene nei pazienti con disturbi mentali acuti. Non è una novità assoluta: una delle prime e principali applicazioni di questa terapia è proprio la cura di problemi di natura psicologica o mentale, ma il nuovo studio condotto dai ricercatori dell'università di Granada aggiunge un ulteriore tassello a quanto già saputo. La ricerca realizzata con l'aiuto di Elizaberta López Pérez, laureata in Belle Arti e specializzata in pittura presso la stessa università, è il primo studio sull'arteterapia realizzato in Spagna e questo è già un punto di svolta.

Il suo lavoro, basato su principi psicoanalitici, parte da una premessa fondamentale: un opera d'arte è un segno formato come elemento vitale la cui traccia materiale essenziale è l'umanità dell'uomo che lascia la sua memoria nel mondo.
Delle origini dell'arteterapia, o terapia realizzata attraverso l'arte, abbiamo già accennato altrove. Qui basterà ricordare che si tratta di un approccio psicologico nato intorno alla metà del XX secolo, per utilizzare le arti visive a scopi terapeutici. Essa si basa sull'idea che le rappresentazioni visive, o la realizzazione di oggetti attraverso materiale plastico, possono contribuire alla costruzione di un significato per i conflitti psichici e favorirne la risoluzione. In particolare la rappresentazione plastica sarebbe, da questo punto di vista, un processo di costruzione riflessa.

Al fine di svolgere la sua attività di ricerca, López Pérez ha lavorato per più di un anno con 20 pazienti psichiatrici in fase acuta provenienti dalla Comunità terapeutica dell'Ospedale di Granada Virgen de las Nieves, i quali partecipavano volontariamente a sedute di terapia due volte la settimana durante le quali dovevano reinterpretare dipinti di artisti come Modigliani, Munch e Van Gogh, offrendone una loro personale visione  (nelle immagini due dei dipinti realizzati).

Nell'articolo, la ricercatrice dell'Università di Granada mette in evidenza, in particolare, il carattere liberatorio dell'arte per questi pazienti, che riescono a proiettare fuori da sé il loro mondo interiore e i loro desideri repressi attraverso i dipinti o gli altri oggetti artistici realizzati. In questo modo, imparano ad affrontare paure e desideri portati alla luce e resi "reali" durante il processo artistico in cui è possibile sia creare che distruggere.

Non ho ancora letto l'intero studio, però Luigino Bardini, il nostro esperto di arteterapia, magari potrebbe chiarirmi se questo compito di reinterpretazione è pratica comune nell'arteterapia e se mira a raggiungere un obiettivo preciso, non raggiungibile lasciando libero il paziente di realizzare quello che vuole o dandogli un compito più preciso ma senza un modello davanti. È vero ciascuno di noi, anche quando realizza qualcosa di "artistico" senza un "modello" davanti, si rifà o reinterpreta comunque in base al suo mondo interiore un modello che ha in testa e che gli deriva dall'esperienza nel mondo reale, però mi piacerebbe capire se ha un suo significato affidare un compito così direttivo e almeno all'apparenza meno libero e creativo rispetto ad altre soluzioni che si potevano prendere.

In attesa di avere una risposta a queste mie domande da ignorante in materia, vi posso dire che i lavori prodotti nel periodo di studio dai pazienti hanno dato vita a un'esposizione intitolata The fugitive memory organizzata dal Vicerettorato di Studi Extramurali dell'Università di Granada e tenuta a Corrala de Santiago nel 2003. Non so se anche questa è una prassi nell'arteterapia, ma per quello che ne capisco, credo sia importante per i pazienti vedere che le loro proiezioni interiori nel mondo reale vengono anche viste e quindi riconosciute dagli altri che nel caso dei pazienti con difficoltà di natura psichica sono quasi sempre entità da tenere a debita distanza o da temere. Spero che Luis possa chiarirmi anche questo dubbio, ma non so se le finanze in cui versa la sanità italiana consentirebbe di realizzare mostre foss'anche per il bene del paziente: mi sa che rimane tutto nelle mani dell'iniziativa e degli sforzi degli arteterapeuti che si arrabattano come possono.

Fonte: ScienceDaily

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