L'Alzheimer si puo' prevenire?

Chi parla di olio di pesce, chi di fare cruciverba, ma ci sono dei metodi che possano effettivamente contribuire a ridurre l’incidenza di questa malattia?

“Gli scienziati stanno attivamente indagando su una vasta gamma di strategie,” dice il Dott. Richard J. Hodes, direttore del NIH’s National Institute on Aging 

Il fattore di maggior rischio e’ l’eta’ , colpisce infatti maggiormente le persone sui 60 anni di eta’, anche se sono state riscontrate forme rare anche a 30 e 40 anni

Contrariamente a quanto si crede l’Alzheimer e’ una malattia che non fa parte del normale invecchiamento, per cui si deve prevenire. Il cervello invecchia e non ricorda avvenimenti passati con la stessa facilita’ di un cervello piu’ giovane, anche se in molti anziani funziona bene.

Nel 1906 il Dott. Alois Alzheimer, psichiatra tedesco, descrisse per primo i sintomi della malattia analizzando il cervello di una donna di 51 anni che presentava sintomi di demenza.

Noto’ dei depositi anomali nel cervello , delle placche, gruppi di proteine negli spazi tra le cellule nervose del cervello. Gli scienziati sanno cosa sono queste placche, ma non sanno cosa porti alla formazione di queste placche, e neanche come fermare questo processo.

Dalle ricerche effettuate e’ emerso che si puo’ in qualche modo ritardare o prevenire il declino della malattia attraverso il controllo del peso, l’attivita’ fisica, il cervello tenuto costantemente in attivita’.

Ma nessuna ricerca e’ riuscita a dare una risposta definitiva. Eppure molte abitudini sane possono contribuire al benessere generale e ridurre l’incidenza della malattia come smettere di fumare, il fumo e’ stato associato ad un aumento della demenza.

Il Dott. Richard J. Hodes, dice che ci sono ragioni per essere ottimisti. “Gli scienziati stanno sviluppando nuovi strumenti di immagine per permetterci di mappare i cambiamenti che avvengono nel cervello vivente e ci stiamo avvicinando a identificare i marcatori nel sangue che potrebbero segnalare l’insorgenza della malattia, monitorare i progressi e verificare se un farmaco sta funzionando “.

Fonte: NIH

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