Erbe medicinali vietate dal 1 aprile 2011? Verità o bufala?

Da settimane ormai si rincorrono voci allarmate e allarmanti sulla legge normativa 2004/24 relativa ai medicinali naturali per uso umano e sul suo successivo emendamento 2004/27 che dal 1 aprile 2011 dovrebbe mettere fuori legge in Europa piante come l’equiseto e l’arnica.

Se così fosse sarebbe una pazzia, un sopruso, una bieca manovra ad opera di case farmaceutiche avide di profitti.

Leggendo la riflessione di Debora Billi su Crisis e i commenti dei suoi lettori, ho scoperto nel blog di Renato Bruni, Professore presso il corso di Laurea in Scienze Farmaceutiche Applicate dell’Università di Parma, un post illuminante che vorrei condividere, di seguito, con voi:

E’ chiaro che se ci si pone in un’ottica corporativistica esiste il potenziale di un conflitto tra canali di vendita, con una sottrazione di prodotti confezionati dall’erboristeria verso la farmacia. A me però interessa di più la prospettiva del consumatore e delle garanzie di qualità ed efficacia che dovrebbero essere sempre garantite a prodotti che si fregiano della registrazione farmaceutica, perchè di questi si tratta. Quanti si inalberano per possibili restrizioni e regolamentazioni comunitarie sono altrettanto furenti quando vedono arrivare in vendita prodotti che non hanno alcuna ragione di essere ed alcun fondamento che ne giustifichi l’efficacia? Eppure i prodotti-bidone, nati per spillare denari alla credulità popolare, fanno ben più male alla credibilità ed alle prospettive del settore rispetto ad una normativa che cerca di dare raziocinio ad un campo tendente al caotico. E poi: si considera etico che i consumatori agiscano da beta-tester, lasciando scegliere al mercato se un prodotto che si definisce terapeutico è efficace oppure no? Chiedere al produttore di attestare a priori la concretezza scientifica delle sue affermazioni circa un farmaco mi pare sacrosanto.

Altra riflessione: si è polemizzato spesso nel recente passato circa la mercificazione dell’erboriseria, transitata ad essere luogo primario di vendita di prodotti confezionati a scapito della tradizione di competenze legate alle tisane ed ai fitopreparati che l’erborista sa preparare anche dietro ricetta di un terapeuta preparato (vero vulnus attuale della situazione italiana, aggiungerei).

Questa legge non opera anche per riportare più in alto ed a giusta dignità queste competenze classiche, che vanno ben oltre il limitato orizzonte odierno del “venditore di scatolette”? Infine: sono sette anni che la scadenza dell’aprile 2011 è nota. Chi voleva mettere in regola i suoi prodotti per il settore farmaceutico ha avuto non solo il tempo, ma anche un canale sempificato per farlo. Se questo non è avvenuto è per due motivi: o le aziende non sono interessate al canale del farmaco erboristico registrato o hanno dormito per più di un lustro.

Rimane, però, il problema dei costi, affrontato da Federica Sgorbissa su OggiScienza:

Se si vuole registrare un prodotto di origine vegetale come farmaco, e pubblicizzarlo o definirlo avere proprietà medicinali, l’azienda che lo produce deve fornire alle autorità competenti una serie di dati chimico-fisici, biologici, microbiologici, farmacologici, tossicologici e di sperimentazione clinica che ne provino scientificamente la sicurezza, la qualità e l’efficacia, proprio come per tutti gli altri farmaci allopatici. Al tempo stesso, il medicamento a base di ingredienti vegetali deve essere prodotto seguendo gli stessi standard qualitativi di tutti gli altri farmaci. Il problema è che raccogliere questi dati e ottemperare alle specifiche di produzione è costoso, molto costoso e forse non tutti i produttori se lo possono permettere. Per questo qualcuno sospetta che così si finirà per favorire le multinazionali del farmaco (o le grosse aziende del settore erboristico, quelle con le spalle già abbastanza grosse da sostenere le spese) a scapito delle piccole aziende e si andrà verso una standardizzazione del mercato, con una riduzione della varietà di prodotti e ingredienti attualmente disponibile per i consumatori.

Il timore c’è ed è lecito. Tuttavia, se ci si spinge oltre al comma 1 della direttiva e del suo emendamento più significativo, si scopre che almeno i tre quarti della legge sono impegnati nel descrivere “la procedura di registrazione semplificata” ammessa per quei prodotti medicinali vegetali che “godono di una tradizione lunga e costante” che ne garantisce e certifica con l’uso la qualità, la sicurezza e l’efficacia. Si tratta in effetti di un canale semplificato (meno costoso ma comunque oneroso per alcuni produttori: circa 50.000 euro) per ottenere l’autorizzazione alla vendita e che dovrebbe venire incontro proprio a quelle piccole aziende che altrimenti verrebbero penalizzate.

Sembrerebbero esclusi dalla normativa i rimedi omeopatici.

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