Riscaldamento: la produzione dell'energia

di Gianfranco Di Mare

Performance Engineer
 

Dei sistemi che il corpo utilizza per fornire ai suoi tessuti (soprattutto ai muscoli) l’energia necessaria per tutte le funzioni ci siamo occupati più volte in W&P, ad esempio qui.

Oggi ci serve sottolineare che i meccanismi di produzione dell’energia seguono le stesse leggi della nostra capacità di prestazione: a riposo, il corpo utilizza certe trasformazioni biochimiche in un certo modo, ma sotto sforzo le cose possono cambiare piuttosto drasticamente. Questo è, in effetti, uno dei principali motivi per cui non siamo… come i rettili 🙂

Per un riscaldamento al top ci devono essere ben chiare alcune cosette circa la produzione di energia nel corpo.

Quando siamo in stato di riposo utilizziamo, per alimentare l’attività contrattile muscolare, soprattutto una miscela di acidi grassi e glucosio, che vengono ossidati (cioè fatti reagire con l’ossigeno che respiriamo) lasciando come unici residui… ecologici acqua e anidride carbonica. Più è bassa l’intensità dell’attività muscolare, più la miscela è ricca in acidi grassi (ma questo, purtroppo, non vuol dire dimagrire… vi rimando al link sopra specificato).

Il punto chiave per padroneggiare il discorso sta in questo semplicissimo concetto: tutto dipende da quanta energia ci serve ad ogni secondo: se facciamo 100 metri in 36″ ci serve una certa quantità di energia; se li facciamo in 12″ ci serve la stessa energia (circa, perché cambia anche lo stile di corsa), ma in un tempo che è un terzo. In altre parole, ci serve una potenza tripla.

I meccanismi energetici che utilizzano l’ossigeno si definiscono ossidazioni, o meccanismi ossidativi. Si chiamano anche meccanismi – o processiaerobici. Non deve quindi stupirci se la quantità di energia che produciamo per ogni secondo con le sole ossidazioni si chiama potenza aerobica.
Il fatto è che la potenza delle ossidazioni è molto bassa: con questo meccanismo possiamo produrre lavoro (cioè energia) anche per tre giorni di fila, ma poco per volta. Se produciamo uno sforzo intenso (una corsa alla massima velocità, sollevare grossi pesi, cercare di buttare giù un avversario nella lotta, vogare alla più non posso, arrampicarsi alla fune, rubare palla a centrocampo e andare a canestro a tutta birra schivando cinque avversari…) servono altre fonti energetiche, tra cui quella che produce acido lattico (e si chiama, pensa un po’, meccanismo lattàcido).

Ecco il trucco: più portiamo i nostri meccanismi ossidativi verso la massima potenza aerobica, meno dovremo usare altre fonti energetiche, e più potremo prolungare il nostro sforzo. Un banalissimo esempio lo dimostrerà in maniera evidente. Faccio un caso podistico perché rende le cose più facili, ma il ragionamento vale – con le dovute varianti – per qualsiasi tipo di attività e di sforzo, anche per il sollevamento pesi.

Immaginiamo che possiate correre, impegnandovi molto, 10 chilometri in 40 minuti (un tempo abbastanza veloce), alla media di 4 minuti al chilometro. Provate a cominciare a correre a freddo, esattamente a 4′ al chilometro: vedrete che non riuscirete mai a fare 10 km: la fatica vi fermerà prima. Provate invece a correre diciamo per tre chilometri a 6′ al chilometro, e poi fare degli allunghi (di 50, 80, 100, 200 metri) a 4′ al chilometro o poco meno, riposando un po’ tra l’uno e l’altro. Partite ora per i vostri 10.000. Ogni commento sarà superfluo…

Cosa è successo? A cosa si deve questa enorme differenza? L’istinto ci porta a pensare di risparmiarci per “conservare le energie” (??), non a fare quattro chilometri in più sperando di “stancarci di meno”…
Tra le altre cose è sucesso che, con la corsa lenta, abbiamo gradualmente aumentato la nostra potenza aerobica riducendo al minimo assoluto la produzione e l’accumulo di acido lattico; in questo modo, quando abbiamo corso i nostri 10.000 solo una parte della potenza richiesta è stata prodotta attraverso meccanismi lattacidi (quanto esattamente, dipende dalla vostra massima potenza aerobica del momento). Partendo “a freddo”, invece, la maggior parte della potenza richiesta per correre a 4′ al chilometro era prodotta attraverso la formazione di acido lattico, il cui accumulo ha generato la sensazione montante di fatica, il disagio crescente, la legnosità delle gambe, la graduale voglia di fermarsi.

Esistono certi tipi di sforzo che pur non sfruttando i meccanismi aerobici non producono acido lattico (e si dicono, ariguarda un po’, anaerobici alattacidi!): sono quelli che durano meno di 4-5 secondi circa.
Tuttavia, se alattacido è lo sforzo, lattacido può essere il meccanismo di riposo: se passate un’ora a fare anche solo dei brevi scatti, o ad alzare pesi in serie brevi, il tasso di acido lattico nel sangue potrà comunque essere, alla fine, molto alto. Senza eccedere nei dettagli biochimici, poco adatti al nostro livello di analisi, anche in questo caso una potenza aerobica elevata riduce la fatica, aumenta la capacità di lavoro, riduce i tempi di recupero dopo lo sforzo.

Ecco quindi che abbiamo collocato al suo posto un altro tassello del nostro riscaldamento ideale: ci mancano giusto un altro paio di cosette, di cui ci occuperemo subito.
Restate caldi 😉

Nella foto: Phillips Shaun, dei San Diego Charges (National Football League) si scalda prima di una sessione di sprint.

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