Il dibattito sull’olio di palma: fa davvero male? Ecco il sapere degli esperti

Il dibattito tra gli esperti. L'olio di palma fa male?

L’olio di palma rappresenta oggi il leader mondiale, dal punto di vista commerciale, degli oli e dei grassi alimentari. Prodotto principalmente in Malesia, l’olio di palma è venduto in oltre 150 paesi in tutto il mondo, riscuotendo enorme successo per via del prezzo estremamente competitivo e per l’ottima idoneità all’uso alimentare ed industriale.

L’olio di palma: fa male o bene?

Nonostante l’enorme successo commerciale, la composizione chimica dell’olio di palma, soprattutto negli ultimi anni, è stata al centro di numerose polemiche relativamente ai potenziali effetti collaterali sullo stato di salute cardiovascolare.

Effetti negativi sulla salute

Una raccolta di studi condotta dai ricercatori e nutrizionisti italiani come Elena Fattori, Cristina Bosetti, Furio Brighenti, Claudio Agostoni e Giovanni Fattore su oltre 50 lavori diversi e pubblicata nel 2014 su The American Journal of Clinical Nutrition, evidenzia che il consumo abituale di olio di palma fa aumentare in modo significativo la concentrazione di grassi nel sangue, dal colesterolo ai trigliceridi. Non solo, il rapporto tra colesterolo cattivo (LDL) e buono ( HDL) aumenta, per cui alla fine si assiste a maggiori livelli di colesterolo cattivo.

Un’altra considerazione da fare è che l’olio di palma viene spesso utilizzato in forma esterificata dalle aziende alimentari e questa peggiora il profilo lipidico favorendo il danno cardiovascolare. C’è infine un lavoro pubblicato su Lipidis nel 2014 dove si associa il consumo di acido palmitico all’incremento di sostanze infiammatorie circolanti nel sangue. È noto che gli stati di infiammazione cronica favoriscono lo sviluppo di varie patologie come le malattie cardiovascolari, l’aterosclerosi, il diabete e anche alcuni tumori».

Alcuni luoghi comuni da sfatare

Alcuni esperti, smentiscono la nocività dell’olio di palma. Quello che dicono è che le domande dovrebbero essere diverse. La priorità è fare chiarezza, evitando il falso mito della contrapposizione tra cibo “amico” e “nemico”, perchè nessun alimento di per sé è buono o cattivo. E l’olio di palma non fa eccezione. Lo confermano alcune ricerche scientifiche.

  1. Se l’olio di palma è sostenibile e certificato, riduce fortemente l’irrancidimento del prodotto garantendo lunga durata, consistenza morbida ed esaltando gli aromi. Inoltre protegge dall’ossidazione.
  2. Per quanto riguarda il consumo di suolo, la palma da olio ha caratteristiche migliori di altre piante. Rispetto ad altre colture richiede, dunque, un consumo inferiore di acqua, pesticidi e fertilizzanti.
  3. La cattiva reputazione dell’olio di palma ha origine nell’elevata percentuale (circa il 50%) di grassi saturi. In nessuno degli studi recenti è stata confermata una relazione causale fra consumo di acidi grassi saturi e rischio di malattie cardiovascolari. La campagna denigratoria sull’olio di palma, basata sul fatto che questo olio contiene una percentuale maggiore di acidi grassi saturi rispetto ad altri oli vegetali, non ha quindi alcun riscontro nell’evidenza scientifica.
  4. Bisogna porre attenzione ai grassi Trans, derivanti dal processo di idrogenazione degli oli vegetali e marini. È dunque questo il nemico numero uno per le nostre arterie. Utilizzare l’olio di palma permette di evitare l’idrogenazione dei grassi e quindi i grassi trans. Il fattore di rischio non è legato all’alimento in sé, ma piuttosto ai processi di trasformazione industriale. Basta porre in atto una serie di misure di controllo per ridurre al minimo il pericolo di contaminanti.
  5. L’acido palmitico ha una centralità peculiare nella nutrizione infantile a partire dall’allattamento al seno. I saturi, infatti, in primo luogo il palmitico, forniscono energia e sono cruciali nelle prime fasi di vita perché sono destinati ai depositi». L’olio di palma contiene circa il 45% di acido palmitico: l’olio di palma in sé non è dunque una minaccia per i bambini. Piuttosto contano la quantità dei grassi ingeriti e lo stile di vita: «una dieta varia ed equilibrata è la risposta migliore» dice Agostoni, direttore di pediatria al policlinico di Milano.
  6. Molte aziende sono corse ai ripari riempiendo pubblicità e confezioni di slogan con la dicitura “Senza olio di palma”. Una strategia innanzitutto di marketing, che non ha però avuto alcuna autorizzazione dall’Efsa (European Food Safety Authority). Il problema è che così facendo, l’ingrediente che segue la parola senza o non, viene automaticamente considerato “cattivo“; senza considerare che i surrogati a volte sono peggio degli alimenti che sostituiscono.
  7. Infine, considerando l’impatto ambientale, bisogna stabilire quali foreste preservare e quali suoli destinare alle piantagioni, coinvolgere i produttori locali, creare una tracciabilità totale e trasparente del prodotto lungo l’intera filiera. Una sfida che è aperta, ma realizzabile. L’olio di palma sostenibile esiste.

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